Libri: troppi, cari, fugaci
Centosessanta nuovi titoli al giorno, qualità sempre più bassa e montagne di carta al macero: a chi conviene il tourbillon dell’industria editoriale?
Lun 05 Dic 2011 | di Maurizio Targa | Attualità
“Una delle grandi malattie del nostro tempo è la proliferazione di libri, che soffocano un mondo incapace di digerire l’abbondanza di materie oziose che tutti i giorni si stampano.” Il lamento di un blogger letterario? Il grido di dolore di un editore che non riesce ad emergere? Niente di tutto questo: lo affermava sconsolato Barnaby Rich, scrittore inglese, correva l’anno… 1602! Oggi? Giudicate voi la situazione: in Italia escono 160 nuovi titoli al giorno, che fanno 5.000 al mese e 60.000 a fine stagione. Gli editori sono più di 2500 e nel 2009, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, sono state stampate in Italia 268 milioni di copie totali di libri (per una tiratura media di 4.300 copie), escludendo però tutti quelli editi per essere venduti insieme a quotidiani e riviste. Nel 1980 si pubblicavano 140 milioni di copie: meno di quante oggi se ne pubblicano di sole novità.
TROPPI? NO, SE FOSSERO LETTI
Se il dato è imponente, non deve comunque trarre in inganno: la marea cartacea prodotta in Italia si colloca ben alle spalle di quella stampata in Germania, Spagna, Francia. In particolare, nel numero di opere pubblicate, la produzione tricolore cresce meno delle altre editorie europee (+7,6% rispetto a +14% di Germania) ed è stabile (o in leggera flessione) nel numero di copie. Ed anche la media pro capite di libri per abitante parla chiaro: le editorie europee pubblicano infatti un numero maggiore di titoli per mille abitanti: 1,58 la Spagna; 1,11 la Francia; 1,15 la Germania. L’Italia è attestata a 1,02. Il problema è che da noi questo oceano culturale trova pochi naviganti: se l'estate 2010 è stata quella della rivoluzione digitale, della guerra tra Apple e Amazon su formati e attrezzi vari da lettura, quella appena passata ha sancito la crisi del settore, che si estingue anche per eccesso di produzione non assorbita: in Italia, in ultima analisi, di libri se ne stampano troppi, pochi se ne vendono. Federico Motta, presidente dell’Associazione Italiana Editori, ha presentato poco tempo fa dati inquietanti: gli italiani spendono appena 64,95 euro l’anno a testa per i libri, compresi i testi scolastici; per i libri da lettura, la spesa dell’italiano medio è sotto il controvalore di una pizza l’anno. Solo il 5% degli italiani legge un libro al mese, appena il 45% di imprenditori e professionisti legge un libro l’anno, altre categorie neanche quello. È sempre l’AIE (Associazione Italiana Editori) a fornire quest’ultimo dato, assieme a un altro dal retrogusto amaro, relativo alla percentuale di copie invendute: sia pur sottaciuto, si stima attorno al 35% della tiratura totale la percentuale di libri destinati, con modalità diverse, al macero.
CUI PRODEST?
Ma se gran parte dei volumi che riempiono librerie e megastore finiscono al riciclo, come campano editori, librai e scrittori? Proviamo a fare due conti: un grande editore stampa in media oltre 200 libri l’anno; ricevendo almeno 2000 manoscritti inediti ogni 12 mesi, di cui ne pubblica non più di dieci. Il 40% dei successi passa attraverso la libreria, che li mantiene in esposizione non più di un mese; il restante 60% è legato alla grande distribuzione. L’intero processo costa all’editore circa il 52% della spesa totale del libro. La distribuzione vera e propria incide del 12% e lo sconto del libraio oscilla invece dal 32% al 42%. Per una grande casa editrice si può parlare di successo oltre le 30mila copie vendute nel primo anno di distribuzione di un titolo. Il 2% di essi raggiunge l’agognata meta, qualcuno in più si ripaga delle spese. Sei nuovi titoli su dieci, però, non vendono neanche una copia: nemmeno la mamma e il papà dell’autore si comprano il libro. Gli editori adottano tattiche diversificate per galleggiare su un mercato asfittico, ma quella che va per la maggiore è la strategia della pentolaccia: batti e ribatti fai il colpaccio e cinque libri andati bene ti ripagano di cento flop. La maggioranza di essi, poi, per risparmiare fa leggere i manoscritti a lettori che però non si chiamano più Calvino o Pontiggia come accadeva tempo fa, ma sono studenti freschi di laurea, sottopagati, con contratti a termine e poco motivati.
PAROLA D’ORDINE: ARRANGIARSI!
Oggi il libro deve vendere in fretta: nelle librerie ci sta al massimo tre mesi e poi torna indietro, perché la cultura del best-seller soppianta quella del long-seller. E la narrativa straniera, nonostante costi di più, è gettonata perché talvolta si può risparmiare sulla traduzione che viene finanziata dagli istituti di cultura stranieri, ma soprattutto perché è più facile creare il caso editoriale o la curiosità intorno a un autore che in patria ha venduto migliaia di copie. Stringere la cinghia, puntare sul sicuro e rischiare pochissimo, dunque; con margini di guadagno che arrivano dalle vendite dei diritti cinematografici, da internet, dalle riviste. Le case editrici per fare un libro sovente ricorrono anche agli sponsor, ovvero banche, associazioni e istituzioni, oppure pubblicano libri a pagamento, a volte in modo corretto, altre meno. Il settore critico per eccellenza è quello della poesia, sottolineano dall’AIE, con 2.400 titoli l’anno e una tiratura media tra le 500 e le 700 copie. Si grida al miracolo se una raccolta di versi oltrepassa le 250 copie vendute (amici, parenti e poco più), è un successo clamoroso se supera le 1500.
IL FUTURO è DEI MEGASTORE
I librai? I piccoli campano male, il futuro è dei megastore dove giri tra i libri, chiacchieri in relax e prendi pure un caffè. Per ultimi arrivano gli scrittori. Spesso càmpano d’altro, le percentuali corrisposte ad un esordiente oscillano tra il 6 ed il 7%; 10mila copie vendute per un libro marcato 11euro possono fruttare poco più di 7mila euro lordi: pagate le tasse ti ci compri sì e no un motorino. Chi si arrabatta tra corsi di scrittura creativa, conferenze, lezioni, articoli e quant’altro serve a illudere che scrivere è bello e pubblicare si può. Ma per tutti, avvocati, chirurghi o i professionisti prima o poi folgorati dal genio creativo e all’improvviso diventati scrittori, c’è il forte sospetto che per pubblicare si frughino nel portafoglio.
IL PRINT ON DEMAND IN ITALIA
Linea Open di Edizioni Photocity:
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PUBBLICATI E MAI VENDUTI
In Italia escono circa 159 libri al giorno, per un totale di 3000 novità al mese. Circa il 60% dei libri pubblicati negli ultimi anni non ha venduto neanche una copia.
Fonte: AIE
BUTTARLI Sì, RICICLARLI NO...
Premesso che si tratta generalmente di un’operazione virtuosa di riciclo della carta, pur sapendo che ogni chilo di carta recuperata produce circa 400 grammi di scarti tra pulper e fanghi di cartiera; lo spreco, se non altro per l’aspetto culturale, appare enorme. Anche perché solitamente la scelta di portare i libri al macero è l’ultima che viene presa in considerazione dagli editori.
La vendita a stock dell’invenduto garantisce un introito pari al 5-7% del prezzo di copertina. Prima di sancire la definitiva morte delle copie invendute, la legge sul diritto di autore prevede che questi sia avvisato e abbia la possibilità di acquistare le copie alle stesse condizioni che avrebbe l’editore se le avviasse al macero, anche se c’è chi fa il furbetto. Se alcune case dichiarano che le copie macerate sono in media il 15%, altri grandi gruppi editoriali preferiscono gestire questo aspetto in blindati ‘uffici per la gestione del macero’, facendo intuire la complessità e probabilmente l’ampiezza di un simile fenomeno che solo in parte la tecnologia è riuscita a ridurre nel corso degli ultimi anni: la stampa digitale ha permesso di tenere in catalogo libri a rotazione bassa, stampando le copie solo e se servono. Ma oggi i libri si comprano sempre più in rete. La rete ha creato un mercato di nicchia (il 25% delle vendite su Amazon riguarda libri che non sono compresi fra i 100 mila più venduti) che porta sì a un allargamento della cultura, ma anche a un maggior numero di singole tirature. E ancora pochi sono i casi in cui i libri destinati a divenire nuova carta (quasi) bianca potrebbero essere regalati a biblioteche pubbliche e o private, o andare a far parte delle biblioteche scolastiche che nella maggior parte dei casi si reggono solo grazie all’iniziativa di qualche docente e alla generosità di qualche genitore. Sarebbe un riciclo non solo della materia, ma anche delle idee.
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