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Vivo sola non isolata

Quasi 7milioni di italiani vivono in una famiglia monocomponente per scelta

Ven 06 Apr 2012 | di Maurizio Targa | Casa

Per vivere soli bisogna essere o un animale o un dio, diceva Aristotele. E, per la verità, fino a pochi decenni fa gli uomini soli per scelta erano davvero poche eccezioni: l’emigrante che aveva lasciato a casa la famiglia lontana, il funzionario in trasferta temporanea che decideva di non portare moglie e figli al seguito. Poi sono venuti i divorzi, il benessere, sono mutate le dinamiche generazionali e oggi il single italiano abbraccia un arco d’età e d’esperienze che non risparmia nessuna coorte demografica. Per non parlare delle donne, che fino a pochi anni fa non vivevano mai sole, se non in casi veramente eccezionali. Oggi vivono in famiglia monocomponente quasi 7 milioni di italiani, pari al 13,6% della popolazione da 15 anni in su, con un trend in costante ascesa: sono ben il 39% in più rispetto a dieci anni fa. E, cosa più importante, la maggior parte di essi lo fa per scelta. La solitudine non è più infatti solo l'esito dell'età che avanza e della conseguente perdita di quote di relazioni sociali, bensì una condizione di vita che coinvolge tutte le fasce di età: quasi due milioni dei solitari hanno tra 15 e 45 anni (l'8,5% delle persone in questa classe di età), 1,7 milioni hanno tra 45 e 64 anni (il 10,5%) e 3,3 milioni sono anziani over 65 (il 27,8%). Contrariamente a quanto creduto, a viver sole sono soprattutto donne (15,5%) a fronte dell'11,6% degli uomini. Sono questi alcuni dei risultati emersi dalla ricerca “Ridare slancio alla comunità”, realizzata dal Censis sul finire del 2011, la cui fotografia dell’Italia in solitaria è ben chiara: oggi vivere da soli è la forma familiare più diffusa e quella che nel tempo cresce di più.

Le donne stanno meglio
Quadro desolante e malinconico? Non necessariamente: vivere soli rappresenta certamente una fragilità sociale, visto che in genere, in caso di bisogno, ci si rivolge al coniuge o al convivente, ma essere in “uno” non vuol dire essere una monade isolata. La percezione del mondo dal punto di vista dei single è oggi molto più dolce rispetto al passato, dato che, anche vivendo da soli, nel nostro tempo si hanno certamente a disposizione molti più mezzi ed occasioni per socializzare: opportunità che le donne specialmente colgono al volo, grazie a  una cultura più incline a sviluppare relazioni e rapporti al di fuori dello schema di coppia. Forse anche per questo gli uomini single sono molto più interessati alla ricerca di una compagna di quanto non avvenga nell’altro campo: la casa vuota atterrisce il maschio tricolore molto di più di quanto non spaventi la single soddisfatta. Trattandosi di differenze culturali, non si tratta certo di gap irreversibili: la ricerca ha infatti rilevato come tra gli uomini soli che mettano interesse ed impegno nel coltivare amicizie e relazioni, l’interesse a costituire una coppia è allo stesso livello di quello rilevato tra le donne, ma generalmente il prototipo dell’isolamento sociale è ben documentato: gli uomini tendono a vivere peggio la condizione perché meno inclini a coltivare relazioni con vicini, amici e parenti e molti per questo trovano rifugio nell’iperattività lavorativa o nell’isolamento forzato e, spesso, arrabbiato.

Chi fa da sé fa per gli altri
La soluzione di aggregamento più adottata per questo nuovo “welfare di comunità”, con tanti anziani e tante persone sole, sembra essere la moltiplicazione al suo interno delle relazioni, soprattutto quelle che nascono dal volontariato, dalla cooperazione e l'associazionismo (il cosiddetto terzo settore), che costituiscono forze di coesione cruciali. Secondo un'ulteriore indagine del Censis, il 26,2% degli italiani svolge una qualche forma di volontariato e ben il 76% di essi lo fa in forma continuativa. Ottimi risultati anche per la percezione di fiducia che queste organizzazioni offrono di sé: l'85% degli intervistati dichiara di averne molta o abbastanza. Dal volontariato in futuro ci si attende un'offerta di servizi di più alta qualità, perché più umanizzati nelle relazioni (è quanto ritiene il 39,5% degli intervistati); una gestione delle risorse più trasparente e orientata agli utenti (33,6%); una maggiore vicinanza con il territorio, cogliendone i bisogni e i problemi emergenti (31,6%).

Un lusso per pochi
Sin qui chi è single per scelta, senza soverchi problemi economici.
Coloro ai quali questa condizione può andar decisamente stretta, oltre ovviamente all’anziano minipensionato, è chi appartiene alla cosiddetta “generazione mille euro”, che a sbarcare il lunario da solo riesce difficilmente: secondo quanto emerge da una stima dell'Ufficio Studi della Camera di Commercio di Monza, elaborata su dati Fimaa, Istat ed altri organismi, un single che lavora e vive da solo a Milano può arrivare a spendere mensilmente circa 1.300 euro, di cui più della metà per l'affitto. Lo stesso tenore di vita a un giovane di Palermo costa 860 euro e a Bari circa 870. Conti alla mano, dunque, ad un aspirante “non bamboccione” lo stipendio medio mensile in una città del Nord non basta assolutamente per vivere solo; nel Centrosud neanche, se non a prezzo di rinunce inenarrabili. E così, per arrivare a fine mese, si ricorre all'aiuto di mamma e papà: i genitori secondo le statistiche passano mensilmente ai propri figli 'fuori casa' circa 230 euro a Roma, 260 euro a Milano, più di 400 euro a Napoli. Ciò nonostante, il richiamo della singletudine – come molti la chiamano – è una sirena che attrae un numero sempre crescente di persone, soprattutto giovani; la libertà di essere, fare e pensare tutto ciò che si vuole senza dover rendere conto a nessuno al di fuori di se stessi è la questione che più sta a cuore a chi fa del vivere “in uno” la sua bandiera: si impara a conoscersi ed accudirsi meglio, ad essere maggiormente introspettivi, oltre che ad apprezzare questa condizione da cui l’essere umano tende per sua natura a sfuggire, ma da cui – nonostante tutto – è esistenzialmente accompagnato dalla nascita fino al tramonto dei suoi giorni.

Zitella? Beata lei!
Un tempo non troppo lontano una persona single, specie se donna, si vergognava di essere tale e della nomea di “zitella” con cui spesso veniva derisa. Per non parlare degli uomini: sono passati meno di settant’anni da quando uno scapolone italiano era punito sinanche dallo Stato, pagando più tasse (celeberrima quella “sul celibato” di memoria fascista) era escluso dalle carriere pubbliche. Oggi la percezione è diametralmente cambiata: un uomo o una donna può decidere di rimanere solo magari con la coscienza di aspettare qualcuno, che poi è l’unica condizione dell’esistenza in cui si può realmente capire chi è la persona da amare. E la dimensione unica, contrariamente al passato, è diventata socialmente persino motivo di vanto e anche di invidia. Purché vivere solo non significhi essere solo.                   

 



FAMIGLIE SEMPRE PIÙ MONOCOMPONENTI
Nel periodo 2000-2010 le famiglie composte da una sola persona sono aumentate di quasi il 39%, mentre le coppie con figli hanno registrato  la contrazione più consistente (-7,1%). Guardando alle famiglie per numero di componenti, quelle che sono aumentate in misura maggiore sono le monopersonali (+38,9%), quelle composte da due persone (+20%), poi quelle di tre persone (+2,1%), mentre tutte le altre sono diminuite.
 



QUANDO FAR DEL BENE È GRATIFICANTE
Oltre il 26,2% degli italiani svolge una qualche forma di volontariato. Il sostegno ai non autosufficienti in casa (50,4%), gli aiuti alle famiglie povere (34,8%) e il supporto ai ricoverati negli ospedali e agli ospiti delle case di riposo (33,3%) sono gli ambiti in cui i volontari sono più attivi. E fare attività benefica gratifica chi lo fa: lo sostiene più del 96% dei volontari.


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