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La musica che si scarica

Dopo le crociate contro i pirati del web, oggi la musica si vende on line

Gio 26 Set 2013 | di Armando Marino | Soldi

Per anni l'industria discografica ci ha annegato nelle sue lacrime di dolore, accusando metà dell'umanità di essere dei ladri perché scaricavano canzoni dal web. In vari Paesi la lobby finanziata da queste aziende, facendo leva sull'argomento che la cultura va pagata (concetto in generale condivisibile, ma che è stato strumentalizzato ed estremizzato) e che non si possono affamare gli artisti, ha ottenuto leggi restrittive e campagne di controlli estremamente invasive, con tanto di complesse indagini informatiche, per individuare e punire chi scaricava. In Italia, addirittura, siamo arrivati a far pagare una tassa (da noi è un'abitudine) sull'acquisto di cd registrabili, la prima tassa sull'illegalità della storia: si paga perché si suppone che chi compra un cd registrabile ci inciderà sopra dei brani scaricati illegalmente. Dopo anni e anni di paradossi giuridici e guerra di posizione, incurante di ogni progresso tecnologico, l'industria ha cominciato a organizzarsi e ad allearsi con i giganti del web per sfruttare la potenza distributiva di internet anziché demonizzarla. Ed ecco che sono nati vari servizi per ascoltare la musica, non solo negozi on line come iTunes, che permette di scaricare le singole canzoni ma, altro paradosso, con un sistema che permette un uso limitato dei brani, che non possono essere trasferiti liberamente da un computer all'altro dello stesso acquirente. Stanno sbarcando in Italia ora vari servizi: Spotify, Deezer, Napster e ora anche Google Play Music e Xbox Music. Le caratteristiche di questi servizi sono tutto sommato abbastanza simili: pagando un abbonamento mensile, consentono di ascoltare canzoni on line in qualunque momento, anche senza che vengano scaricate. Il primo arrivato, Spotify, ha anche una versione gratuita che funziona solo sul computer e non su dispositivi mobili, che consente di ascoltare la musica gratis, ma inframmezzata da spot pubblicitari. Per la prima volta, grazie al lancio di questi servizi e ad iTunes e negozi simili, il fatturato dell'industria discografica è tornato a crescere. Forse, invece di lanciare accuse e fare campagne terroristiche, potevano sforzarsi prima di aprire la mente alle novità. Nel frattempo ci sono artisti che si lamentano di ricevere dalle industrie percentuali degli incassi perfino inferiori a quelli precedenti, quando le aziende dovevano sostenere il costo dei dischi e della loro distribuzione “fisica”. Ma come, non facevano la crociata per difendere i poverti artisti? Oltretutto se l'industria è rispettosa delle regole di mercato solo quando gli conviene: i servizi in questione sono offerti tutti allo stesso prezzo, 9,99 euro al mese. Che coincidenza...


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