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Il bidone nucleare resiste in parlamento

E' rischioso, caro e non rende. Ma ritorna con la legge di “riforma” della scuola

Lun 01 Dic 2008 | di Francesco Buda | Energia

21 anni fa gli italiani hanno detto basta all'energia nucleare con tre referendum. Hanno evitato il baratro di un'altra emergenza rifiuti, quella delle scorie radioattive.

Si tradisce una scelta saggia
La propaganda nuclearista dice che gli italiani sono stati così determinati solo per eccessiva emotività e paura, sulla scia della catastrofe di Chernobyl avvenuta l'anno prima. Fu invece un colpo di saggezza che andrebbe custodito per salvarci da altri enormi debiti e dalle peggiori scorie mai prodotte dall'uomo. Quella scelta merita rispetto. Quella paura è giusta: te l'immagini la camorra alle prese con uranio e fanghi radioattivi, oltre a rifiuti urbani e industriali?

Il decreto Gelmini con il 7 in condotta riporta il nucleare
Ma invece di dare seguito alla volontà popolare, si fa tutto il contrario. Lo sapevi il 6 agosto il Parlamento ha scavalcato lo stop deciso nel 1987 converendo in legge il decreto legge n. 112 dei Ministri Tremonti e Gelmini? In mezzo alle regole su 7 in condotta e maestro unico, con efficacia immediata hanno sancito che le centrali nucleari vanno costruite sul territorio nazionale e che sono una priorità. Poi, la Camera dei Deputati a novembre ha approvato un disegno di legge che prevede anche qui, come ormai in tutti i settori, una privatizzazione, quella della Sogin, la società pubblica incaricata di smantellare gli impianti italiani e metterli in sicurezza.

Tutto incerto: scorie, costi, tempi, gestione e rendimento
Ma di fronte a quella che si vorrebe far passare come ingiutificata irrazionalità degli italiani che dissero no al nucleare, resta tutta da provare la logicità della nuova rincorsa atomica. Non si sa dove mettere le vecchie scorie radioattive, figuriamoci quelle future. Non si sa quanti soldi e quanto tempo ci vogliano davvero per costruire e gestire le centrali, né quanto rendimento energetico producano. Dei 36 reattori attualmente in cantiere nel mondo, 11 sono fermi da almeno 20 anni.
In India, il Paese con la più recente esperienza di centrali atomiche, i costi previsti sono cresciuti in media di almeno il 300% con punte del 396% a Kaiga. E l'uranio disponibile basterà solo per qualche altro decennio. È un valzer di cifre. Autorevoli esperti, scienziati, università, società danno i numeri più svariati. Anche la reale produttività dei reattori lascia molti dubbi, così come il mito dell'elettricità a basso costo. Come per gli inceneritori, oltre ai pericoli, di sicuro c'è soltanto che senza sussidi pubblici nessuno si sogna di realizzare nuove centrali atomiche.

Banche e assicurazioni non si fidano. come la gente
Parliamo di budget astronomici destinati a lievitare, da spalmare poi sulle bollette, e non si capisce quali banche siano disposte a finanziarli. Né ci sono al mondo compagnie di assicurazione che si accollino in pieno e a costi sostenibili il rischio di incidenti. Come la gente, neanche gli uomini d'affari si fidano. A fine novembre è partita la dismissione del deposito di Sellafield, in Inghilterra, dove sono le barre di uranio della centrale di Latina. Le ditte appaltatrici sono responsabili solo fino ad un massimo di 163 milioni di euro, mentre intascheranno oltre 7 miliardi e mezzo di euro in 5 anni.

Altro fallimento in vista
Intanto prepariamoci a pagare 2 miliardi e 775 milioni di euro per i due vecchi reattori che Enel vuole completare in Slovacchia. Già prima dell'attuale crisi finanzaria, nessuna banca aveva accettato di finanziare l'opera, spiega l'associazione “Beati I costruttori di Pace”. Con la stessa cifra, 2,775 miliardi di euro, si realizza un impianto a vento da oltre il doppio della potenza (2.000 MW anziché 880 MW) dei reattori nucleari italo-slovacchi. Con meno anidride carbonica, più posti di lavoro e zero rischi.


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