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Il 2016 inizia con Steve Jobs e Il piccolo principeTra favole, olocausto, fantasy e venditori di fumoLun 21 Dic 2015 | TV/Cinema
Steve Jobs, l'icona. E poi un milanese che racconta i segreti più inconfessabili dei tedeschi e corre verso l'Oscar. E tanto ottimo cinema che si nasconde dietro i colossi come Checco Zalone. E non possiamo non parlare di “Star Wars”, ancora in sala.
Star Wars VII – The Force Awakens L'abbiamo aspettato come il Sacro Graal questo settimo capitolo. Ci siamo entusiasmati con il primo teaser (campagna pubblicitaria preliminare) e preoccupati con l'ultimo trailer doppiato in italiano, seguendolo come un figlio e preoccupandoci che crescesse male. Come puntualmente è successo, anche se se ne accorgeranno in pochi. Già, perché “Star Wars VII” piacerà molto: ai fans che trovano tutto, persino troppo del loro immaginario costruito in quasi 40 anni da George Lucas, seppur semplificato e non di rado banalizzato; ai neofiti, perché se non conosci Luke, Anakyn, Leia e Han Solo, allora ti puoi anche entusiasmare per quello che è a metà tra il reboot (prodotto appositamente realizzato per tentare di dare un nuovo slancio a prodotti in calo di popolarità) della prima trilogia e il sequel del geniale film parodico di Mel Brooks “Balle Spaziali”. Il punto è che però il fan sfegatato J.J.Abrams si è dimenticato di fare un film, accontentandosi di citare tutti gli altri. E alla fine sorridi, come se avessi incontrato dei vecchi, carissimi amici. Ma capisci, forse, di aver perso quell'atmosfera magica che c'era un tempo. Come una rimpatriata nostalgica, ma, alla lunga, insoddisfacente. Pazienza, in ogni caso, questo settimo capitolo è migliore del quarto. La minaccia fantasma. Sì, Jar Jar Binks, sappilo, ti odiamo ancora. Steve Jobs è il mese dei miti sfatati. Danny Boyle che di solito li costruisce, qui si concede un'opera inusuale per lui: mai sopra le righe, mai furba, rigorosa e tutta di scrittura. Protagonista il profeta della comunicazione della fine dello scorso millennio e il visionario del nuovo, l'uomo che ci ha detto di essere folli, che con il Mac ci ha insegnato a preferire qualcosa di elegante e bello a qualcosa di funzionale. Ed è forse la fotografia perfetta di Steve Jobs, l'uomo capace di rendere il superfluo un bisogno, di costruire il proprio mito, morto immediatamente dopo la sua dipartita, perché autoalimentato. Ed è straordinario Michael Fassbender a incarnarlo, pur non avendone faccia e fisico, ma intuendone fragilità, meschinità e delirio di onnipotenza. Tiene sulle spalle un'opera complessa nella sua semplicità – tutto si gioca sulle tre presentazioni più importanti della storia del guru di Apple e Next, intrecciate alle sue vicende personali -, con una spalla da Oscar come Kate Winslet. E bravissimi sono anche i comprimari, da Jeff Daniels a un Seth Rogen sempre più maturo. E così scopriamo che abbiamo creduto al più bravo venditore di fumo della nostra epoca. Il piccolo principe Ed eccolo un altro mito, Antoine de Saint-Exupéry e il suo piccolo principe. Mark Osborne lo sa che cos'ha per le mani e si mette nelle mani della storia, modernizzandola il giusto, raccontando una ragazza madre e un vicino bislacco, una bambina sola e più matura della sua età che insegue il sogno di chi la ama, persino troppo, e un mondo fantastico consegnato a dei fogli che hanno disegni e parole che aprono la fantasia, il gioco, l'avventura. E pur, in una storia apparentemente diversa dal libro cult che ha fatto sognare generazioni, ne coglie lo spirito. Perché anche questo lungometraggio d'animazione è sostanzialmente un inno all'amicizia e all'educazione sentimentale, all'innocenza e al credere nell'impossibile. Certo, non siamo dalle parti del capolavoro, ma di un family movie che accarezzerà il cuore di tutti. Il labirinto del silenzio C'è un italiano che correrà per l'Oscar. Per la Germania, però. è Giulio Ricciarelli, già attore e da dieci anni anche regista, che si addentra in un argomento tanto delicato quanto percorso nel cinema, l'Olocausto. E tanti sono stati anche i legal thriller sulla Shoah. Ma “Il labirinto del silenzio” è qualcosa di diverso e più profondo, seguendo il lavoro di un procuratore che indaga sui lati oscuri della storia tedesca e lo fa subito dopo la caduta del Reich, periodo sostanzialmente inesplorato dalla Settima Arte. Il cineasta 50enne lo scruta con interesse e rigore, senso del ritmo e sensibilità storica e artistica e ne tira fuori un gioiello di raro equilibrio. E ci rimane addosso il disagio di chi, nel 1958, scopre l'orrore, che gli era stato raccontato e non nei termini atroci in cui gli si mostra nella sua inchiesta, e con cui deve fare i conti, vivendo su di sé il dolore di un popolo che si scopre mostro, qualcosa che fa parte integrante della crescita emotiva dei tedeschi del dopoguerra. Una sorta di peccato originale terribile e mai espiabile. Carol E guarda un po' che ti tira fuori Todd Haynes, anche grazie alla sempre superlativa e bellissima Cate Blanchett. Un'opera lineare, fuori dalla sua cinematografia nello stile e nella scrittura, ma potente nei contenuti. Perché parla di due donne che imparano ad amarsi nell'epoca sbagliata, inserite in classi sociali che non dovrebbero neanche essere amiche, figuriamoci amanti. E l'on the road di una fuga d'amore diventa un viaggio nelle contraddizioni dei pregiudizi, in famiglie che diventano prigioni, nella scoperta di sé di una giovane come Rooney Mara, bravissima a raccontare la linea d'ombra che separa la “normalità” da scelte coraggiose, e di una Blanchett che nel compromesso ha trovato la libertà. Il lungometraggio ha il solo difetto di non spingere sull'acceleratore e di nascondersi in un'etica ed estetica borghese, che nel finale manca di coraggio. E di fronte a così buone premesse è davvero un peccato. _________________________________ I magnifici 7 (in sala) Steve Jobs: con quel suo look finto minimalista ha ingannato il mondo con belle parole e prodotti di moda. Ci ha cambiato la vita con iPod, iPhone e iPad. Ma era un bluff e Boyle va a vederlo. Il labirinto del silenzio: i film sull'Olocausto, per fortuna, sono tanti e belli. Spielberg, Polanski, Benigni hanno parlato della Shoah. Ma pochi, pochissimi, dall'ottica dei tedeschi ancora ignari. Il piccolo principe: Saint-Exupéry è un narratore ormai mitico e figura leggendaria, anche per la su scomparsa che sembra la storia di un suo personaggio. Osborne fa un compitino. Diligente e tenero. Carol: Cate Blanchett e Rooney Mara vincono la prima scommessa facendoci sentire addosso la loro alchimia affatto scontata. E Haynes le (in)segue con sensibilità impietosa. Da vedere. Quo vado: Checco Zalone è ancora nella parte che più ama: l'italiano medio e mediocre, sorta di Alberto Sordi del nuovo millennio. Il modo migliore per ridicolizzarlo. E qui è il non plus ultra. The Pills – Sempre meglio che lavorare: Corradini, Di Capua e Vecchi ci fanno ridere da anni con le loro trovate sul web, con ogni supporto. Ora alla prova del cinema, cercano la consacrazione. Star Wars VII: piacerà a tutti. Eppure manca qualcosa, anzi parecchio a J.J.Abrams per essere all'altezza anche del secondo Lucas. Troppo fan, forse, per intaccare un universo che adora, chissà. _______________________________ I fantastici 4 (in dvd) Dove eravamo rimasti: Meryl Streep è forse l'attrice vivente con più talento al mondo. Qui ci dimostra che può anche fare la rocker, veste in cui neanche l'avremmo immaginata. Da urlo. Minions 3D: e c'è anche la versione Collection. Questi cosetti gialli adorabili e surreali sono la più grande trovata comica degli ultimi anni. Per far ridere papà, mamma e figli. Irresistibili e folli. Non essere cattivo: Caligari ci ha lasciato e con questo film corre verso un Oscar che sarebbe meritato, ma che non vincerà, perché non lo capiranno. Voi fatelo, con questo bel dvd. Clint Eastwood, The best of: C'è solo una cosa più bella di un film di Clint Eastwood. Tanti film di Clint Eastwood. Speriamo per voi che qualcuno ve l'abbia regalato come strenna di Natale. |
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