Marrakech: Un trionfo di colori, sapori e profumi
Adagiata nel cuore del Marocco, la “città d’ocra”, tra alberi di frutta, piante di fiori e ulivi, si è conquistata il suo paradiso, strappando la terra al deserto e utilizzando antiche e sofisticate tecniche di irrigazione
Mer 24 Ago 2016 | di Testo e foto di Simonetta Bonamoneta | Turisti non per caso
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Percorso il lungo rettilineo che taglia la pianura desertica, la pittoresca corriera procede sbuffando lungo il nastro d’asfalto lucido.
Ma non è la sola. Anche vecchi camion arrancano su e giù per le colline, verso Marrakech. Solo gli asini, dal movimento lento ma continuo, sembrano non risentire del caldo e della fatica, portandosi in groppa i loro padroni, adagiati come se fossero su comode poltrone. Ecco l’immenso palmeto di Marrakech: 150.000 alberi secolari e milioni di ulivi che, improvvisamente, sembrano spuntare dal nulla, interrompendo i 15.000 kmq di steppa della vallata dell’Haouz. Lontano, le nevi della catena dell’Atlante coprono tutta la corona di vette, lasciando scoperti rari fazzoletti di roccia color ocra.
Oggi, come al tempo di Abu Bakr ibn Umar, cugino del re Youssef ibn Tachfine, fondatore di Marrakech nel 1062, quando fu eletta capitale del regno, i vecchi bastioni continuano a proteggere la città che ha dato il nome al Marocco. Dove ci sono anche i suoi sontuosi palazzi, come l’El Bahia, dove solo il cortile è di 50 metri x 30, considerato un capolavoro dell’architettura tradizionale marocchina, ora anche aperto ai visitatori per concerti di musica araba-andalusa e mostre di quadri. Esuberante, sensuale, voluttuosa, poetica e fantastica, Marrakech è la più viva delle ”makhzen”, le famose città imperiali (Fes, Rabat e Meknes). Distesa com’è nei suoi giardini colmi di frutti, fioriti di rose e profumatissimi gelsomini, tra coloratissime jacarande, sembra impigrire languidamente. E forse così dev’essere. Il suo “Eden” se l’è costruito centimetro per centimetro, strappandolo alla terra desertica, utilizzando antiche tecniche di irrigazione. Anche se l’acqua, tutto sommato, non è mai mancata a Marrakech, essa viene distribuita con somma competenza, affinché non avvengano inutili dispersioni. Soprattutto durante i lunghi periodi di siccità, in cui il Jardin de l’Agdal e il Ménara, dichiarati dal 1985 Patrimonio dell’Unesco, hanno più bisogno di irrigazione per la coltivazione, si comprende la grande importanza di questi due superbi esempi di conoscenza botanica-idraulica, con i sofisticati sistemi di canali sotterranei che portano l’acqua direttamente dalle montagne dell’Atlante. Ma già da molti decenni l’agricoltura cittadina non è più l’unico fiore all’occhiello di Marrakech: ora è anche il turismo!
l business ha avuto inizio quaranta anni fa, con la scelta del regista Franco Zeffirelli di girarvi alcune scene del suo “Gesù”, facendola ammirare da tutto il mondo.
COME CERTI VINI PREZIOSI
Da sempre questa fantastica città resta al di sopra delle mode, vantando un suo fascino, un suo mistero, come certi vini preziosi, in cui ognuno, a modo suo, può assaporare e percepire ciò che più gli ispirano. Dunque, una città romantica, ricchissima di umanità, piena di scoperte e sensazioni inebrianti indimenticabili, che muta il suo aspetto ora per ora. Le sue leggende non sono favole che i cantastorie raccontano per le strade, ma realtà che la vecchia città carovaniera riesce a riproporre, volta per volta, scena per scena, come avviene in un teatro “instabile”, in cui tutti recitano a soggetto.
GLI ULTIMI UOMINI LIBERI
E' trascorsa soltanto un’ora da quando ho depositato il bagaglio e già mi sento avvolta da un’atmosfera eccitante e quasi irreale. Un caleidoscopio di colori, odori e suoni inebrianti vaga nell’aria: sono entrata nel tipico souk, il mercato più grande che io abbia mai visto, nel centro della Medina dominata dal grande minareto Koutoubia, che in arabo significa “bibliotecario”, perché la zona è circondata da negozi di manoscritti.
E' un punto d‘incontro come ogni città carovaniera, dove i Tuareg o “uomini blu” del sud, definiti ora come gli ultimi uomini liberi, ma una volta implacabili predoni, si mescolano ai viaggiatori in arrivo dal Sahara e ai turisti di tutto il mondo, insieme ad adulti e bambini del luogo, confondendosi armoniosamente.
Un campionario d’umanità composita che si muove incessantemente ed io tra loro, sballottata qua e là come la pedina di una scacchiera. Un vero labirinto di stretti vicoli, in cui le botteghe, fuse le une sulle altre, si snodano attraverso tutto il quartiere. Nell’aria, spezie, zafferano, petali di rosa e menta s’intrecciano, si mescolano, creandone dei nuovi, mentre in bella mostra i belletti in polvere nelle scatole di legno, il nero per gli occhi, il rosso per le labbra, il blu per le palpebre, catturano gli sguardi pudici delle donne velate. Poi, tappeti, gioielli berberi, collane beduine, babbucce in pelle di cammello, ottoni, articoli in onice, oggetti d’antiquariato o pesce seccato, che qui assicurano essere un valido afrodisiaco.
La contrattazione è aperta. Sì, perché bisogna sempre contrattare, dimezzare il prezzo… poi far finta di andarsene, per essere inseguiti nella commedia di un patteggiamento, che trova nel mondo arabo radici antichissime e che a Marrakech raggiunge la liturgia più complessa. Fuori c’è un traffico caotico di vecchi camion, di corriere, di auto, di carrozzelle, di moto, di giovani che vogliono offrire i loro servigi. E insieme alle guide, ai conducenti di taxi ed ai cocchieri, ai venditori improvvisati, tutti si prodigano rumorosamente per prenderti a bordo o per assisterti.
Perché il turista è visto immensamente ricco e… immensamente ingenuo. Nella strada dei tintori, lunghissime matasse di lana di tutti i colori, stese l’una accanto all’altra, gocciolano sul selciato, coprendo in alcuni punti il cielo. Nelle botteghe, con braccia e gambe rosse, blu, gialle, verdi, uomini misteriosi fanno bollire enormi pentoloni.
IL TRAMONTO INTENSO E PALLIDO DI PIAZZA JAMAA EL FNA
Ogni giorno, verso sera, un’attrazione da non mancare è il tramonto in questa famosa piazza Jemaa el Fna. Qui la luce ha qualcosa di magico: la luminosità dapprima violenta, si stempera in un rosa intenso, poi pallido, finché gli ultimi strali di fuoco ingigantiscono le ombre. Allora s’apre il palcoscenico fantastico di questo luogo senza eguali, di forma vagamente triangolare, il cui nome significa “raduno dei morti”, forse perché una volta vi avevano luogo le esecuzioni pubbliche e vi si teneva l’esposizione settimanale delle teste mozzate. I negozianti tolgono le vecchie imposte di legno alle vetrine che traboccano di mercanzie, s’accendono decine e decine di fornelli a carbone per cuocere cuscus, spiedini vari, polpettine o riscaldare l’acqua per il tè alla menta. Giungono i venditori ambulanti, i cantastorie, i mangiatori di fuoco, gli uomini col turibolo, detto anche incensiere, creando uno spettacolo suggestivo che l’avanzare dell’oscurità rende ancora più misterioso e affascinante. Qui non c’è l’ora del tè come in Inghilterra, ma ogni ora è buona per berlo.
Una delle sensazioni che rimangono dentro a chi torna da questi esotici luoghi è proprio quest’occasione di condividere i momenti con la famiglia o gli amici dietro una calda tazza di tè. è un rito che coinvolge questo popolo ogni momento della vita con un gesto di simpatia, di amicizia, di rispetto per l’ospite o negli affari. Quindi, non dimenticate di bere un caldo tè alla menta, il più tradizionale e salutare del Marocco, notando che la fase più importante di questo rito è versarlo da un’altezza notevole, per produrre una schiuma che fa intensificare i sapori. Lo potrete fare al Cafè des Epices, che si trova nella Piazza delle Spezie, nota anche come la Piazza degli Schiavi, dove il suo rifugio segreto è sulla terrazza che si affaccia sul mercato, mentre il panorama si estende fino alle montagne dell’Atlante, in un’atmosfera da Mille e una notte. Intanto, dai pullman si scaricano scatoloni, valigie, animali da cortile, in un continuo crescendo.
Ogni istante che passa, la scena s’arricchisce di nuovi personaggi, di nuovi artisti che si esibiscono nell’arte beduina della festa, un popolo nomade, ma particolarmente ospitale e ricco di tradizione.
In questo immenso palcoscenico umano, ballerini, acrobati, venditori d’acqua, incantatori di serpenti, mangiatori di spade gareggiano per la quotidiana sopravvivenza, mentre può capitare di vedere un uomo raccolto in preghiera, accovacciato nella sua umile bottega: sarà questo momento di meditazione, rubato alla spiritualità della scena, a regalare forse l’immagine più struggente ed indelebile di Marrakech.
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