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Vacanze di Natale deluxe, ma non solo

Un palinsesto natalizio che spiazza

Gio 30 Nov 2017 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
Foto di 6

COCO

Genere
: animazione musical fantasy
Regia: Lee Unkrich e Adrian Molina
Voto: 4,5/5
 
Pixar non sbaglia mai, anche quando con furbizia fa l’occhiolino al marketing etnico, andando a pescare nell’immenso bacino di spettatori ispanici e ispanofoni. Con “Coco” fa questo, cercando ispirazione nelle tradizioni ancestrali del Messico e nei sogni di ogni adolescente. E così il 12enne Miguel, aspirante musicista come il suo idolo - ben doppiato nella versione originale da Benjamin Bratt - si ritrova in un viaggio infernale nell’Aldilà, con lo spirito ingannatore dalla voce suadente di Gael Garcia Bernal a fargli da Caronte. E già qui capiamo che il diciannovesimo film della casa di produzione capitanata da John Lasseter va altrove, rispetto al passato. Lo si capisce dai colori caldi, dal look gotico e profondamente centroamericano, folkloristico e particolarissimo, come la macabra ironia che percorre tutta l’opera e dal livello tecnico dell’animazione, incredibile specialmente nelle scene “musicali”. A livello narrativo c’è una svolta più adulta e di genere, anche se l’inizio è di chiaro marchio Pixar, alla “Up” per intenderci: la lunga introduzione a raccontarci la storia della famiglia di Miguel (quella che riscoprirà all’Inferno nel “solito” processo di crescita), partendo dai centrini della bisnonna fuggita con un musicista, è irresistibile. 

 
 

 



Super Vacanze di Natale
 
Genere: commedia
Regia: Paolo Ruffini
Voto: 4/5
 

 

Senza più Boldi e De Sica, senza neanche Volfango De Biasi che in tempi di crisi aveva alzato il livello qualitativo dei cinepanettoni e mantenuto i guadagni a un livello accettabile, Aurelio De Laurentiis, inseguendo il sogno Napoli del calcio, voleva cercare un’idea delle sue per tornare grande anche nel cinema (almeno negli incassi). E si è inventato il greatest hits dei cinepanettoni. L’idea, apparentemente anticinematografica, è stata da subito quella, rubata a Totò, di un lungo montaggio di tutte le scene migliori della lunga saga partita con i Vanzina e proseguita con Neri Parenti, per poi appunto arrivare a De Biasi (ora David di Donatello per “Crazy for football”). Poteva sembrare solo una trovata commerciale abile, è diventato qualcosa di più: perché Paolo Ruffini, cinefilo a livelli patologici, ha avuto la capacità di scegliere non solo le sequenze giuste, ma anche una pista narrativa che senza alcun raccordo o cartello ha una sua autonomia e sintassi, raccontando, di fatto una storia a parte. E così “Super Vacanze di Natale”, per quanto possa sembrare il lungometraggio più pop, trash e demenziale che sia passato nelle nostre sale da anni, è anche un interessante esperimento cinematografico sotto il profilo del linguaggio visivo e narrativo della commedia. E non solo nel genere “Totò a colori”, per intenderci, chiaro riferimento e ispirazione di questo film.

 


Il premio
 
Genere: on the road
Regia:  Alessandro Gassman
Voto: 2,5/5
 

 

Un on the road sconta sempre la discontinuità connaturata al viaggio in sé, che al cinema vuol dire scenografie diverse, personaggi diversi, segmenti di storia diversi. è per questo che è un genere rifugio - raro sbagliarlo del tutto -, ma anche per questo molto rischioso (è ancora più raro riuscire a portarlo a casa con un percorso netto). Aiuta, sicuramente, il mestiere d’attore e d’autore (soprattutto a teatro) di uno esperto e bravo come Alessandro Gassman e ancora di più un cast che vede Gigi Proietti, Rocco Papaleo, lo stesso cineasta e la meravigliosa Anna Foglietta come punte di diamante. La storia è simpatica - uno appena insignito del Nobel parte per Stoccolma in macchina con l’assistente per la sua invincibile paura di volare e alla fine si aggregano anche gli inconcludenti figli -, la regia è diligente e appassionata al racconto, gli attori non sbagliano. E così, sia pur senza indimenticabili picchi di scrittura o colpi di tacco della macchina da presa, “Il Premio” trova un suo modo d’essere e di conquistare il pubblico. Che non è poco.

 


Suburbicon
 
Genere: commedia surreale
Regia:  George Clooney
Voto: 1/5
 

 

George Clooney è straordinariamente bello. George Clooney è un intellettuale sempre dalla parte giusta. Ora ha anche una bellissima famiglia e vota pure democratico. è un ottimo attore. Come regista quando gli dai una storia solida, se la cava pure. Ma non è un autore. Ed è il motivo per cui, se i fratelli Cohen gli lasciano un loro scarto, una storia che rappresenta il peggio della loro produzione, ovvero il loro involversi all’interno dei loro vezzi, della loro voglia un po’ radical chic di stigmatizzare la società attraverso rapporti urbani di pessimo vicinato e razzismi malcelati, attraverso l’ossessione di ritrarre personaggi improbabili nella loro quotidianità, lui fallisce miseramente. “Suburbicon” è la scopiazzatura di uno stile già irritante, è la ricerca di una propria cifra estetica e autoriale in un luogo in cui evidentemente l’ex dottor Ross non è a suo agio. Ne esce fuori una commedia fredda, eccessiva in alcuni momenti e piatta in molti altri, senza equilibrio né potenza visiva e narrativa. Una cosa è raccontare un giornalista o un politico in racconti civili, l’altro creare universi. Ecco, il nostro, perfetto in tutto, qua cade miseramente.

 



Amori che non sanno stare al mondo
 
Genere: dramma
Regia: Francesca Comencini
Voto: 1/5
 
Si fa fatica, a volte, a capire dove va un film. “Amori che non sanno stare al mondo” è tra quelli e fa ancora più male pensando che ha un’ottima regista alla guida, Francesca Comencini, e bravissimi attori nel cast, tra cui Lucia Mascino e Thomas Trabacchi. Il punto è che quando l’ideologia invade un argomento delicato, soprattutto attualmente, come il rapporto uomo-donna, tutti ne escono a pezzi. E in primis il film che prova a farne il centro del proprio racconto. “Amori che non sanno stare al mondo”, fin dalla trama, appare come un’opera femminile nell’anima e nel corpo, ma anche maschilista. Perché questa protagonista isterica, squilibrata, fragile, sembra non raccontare una donna, ma lo stereotipo che se ne ha nelle chiacchiere tra uomini, così come l’evoluzione della storia porta la nostra a fare delle scelte che normalmente vediamo nei film pornografici (sono una femminista dura e pura che poi si scioglie alla prima moina, gli uomini sono tutti bastardi, proviamo con una relazione saffica con una più giovane di me). Tutto così viene sminuito in uno sviluppo narrativo senza sorprese - anzi -, e con una regia e una scrittura confuse, con almeno tre film in uno (e molto confusi) e un’incapacità di trovare il bandolo della matassa. E nella scena finale, che pure ha tutti questi difetti, c’è negli sguardi dei due protagonisti tutto il film che avremmo potuto vedere e che è rimasto ingabbiato altrove.

 


I MAGNIFICI 7 IN SALA

Coco: musica, fantasy, animazione Pixar. E cinema di genere, ironia macabra e inconsueta per un film per preadolescenti, invenzioni visive nuove e quasi gotiche. Lasseter e soci non sbagliano mai.

Star wars gli ultimi jedi: come fai a non amare una saga che da 40 anni fa sognare tutti noi? Vero, il tocco alla Lucas forse non c’è più, ma l’immaginario e l’ambizione di allora sì. A noi basta.

Super Vacanze di Natale: Paolo Ruffini ha fatto un piccolo miracolo. Questo greatest hits di cinepanettoni poteva essere un papocchio imbarazzante e invece è innovativo e sorprendente.
 
50 primavere: Blandine Lenoir entra con delicatezza in una delle età più critiche di una donna e la racconta con sensibilità e gusto raffinato nella commedia. Merito anche di un’ottima Agnes Jaoui.
 
Il premio: Gassman alla regia è meglio a teatro che al cinema, per ora. Ma questa storia lieve e impreziosita da attori di rara bravura, lui compreso, riesce a farsi amare dal pubblico. Da vedere.
 
Suburbicon: George Clooney non è perfetto. Questa è la notizia che ci regala Suburbicon: è bello, bravo, impegnato. Ma come regista, come autore, non è un granché. Anzi, è proprio scarso.
 

 

Amori che non sanno stare al mondo: se la Lenoir racconta le donne con il sorriso e con profondità, Francesca Comencini si adagia sugli stereotipi e su una storia davvero troppo banale.

 


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