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Un inizio d’anno coi bottiIl 2018 inizia con diversi gioielli cinematografici. E l’Italia, tra Guadagnino e Virzì, brillaVen 22 Dic 2017 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
Tre manifesti a Ebbing, MissouriVoto: 5/5 Martin McDonagh è uno di quei geni che non sai né saprai mai come etichettare. Le sue trilogie teatrali hanno cambiato la narrazione sul palco moderno, al cinema ha colpito tutti con la commedia nera e noir “In Bruges” e poi spiazzato e colpito con “7 psicopatici”, gioiello sottovalutato. Difficile però che quel cineasta, capace di individuare dramma e grottesco per poi mescolarli come pochi altri, potesse partorire una tragedia epica ed etica come “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Il racconto di un dolore infinito, terribile e ingiusto in un contesto morale devastato. Frances McDormand interpreta, da Oscar, una madre ferita dalla morte della giovane figlia. Assassinata e stuprata. Non se ne fa una ragione e decide, con tre manifesti, di accusare chi non ha indagato abbastanza, lo sceriffo di Ebbing (un Woody Harrelson straordinario). Parte un’odissea che ci porta all’interno di una comunità ferita dalla follia e dalla rabbia, in cui nessuno somiglia neanche lontanamente a ciò che sembra. Qui McDonagh muove uomini e sentimenti su una scacchiera emotiva che tocca ogni sfumatura, grazie ad attori incredibili (vedi Sam Rockwell), una regia sapiente, una sceneggiatura scritta così bene da sembrare persino troppo perfetta e un racconto che non fa sconti a nessuno. Neanche allo spettatore.
Chiamami col tuo nomeVoto: 5/5 Ci sono autori che non vengono apprezzati come meriterebbero. Spesso perché hanno un carattere forte, altre volte perché il loro stile è diverso, altro. Luca Guadagnino è uno di loro, così capace di portare il cinema d’autore su lidi sconosciuti e internazionali che è riduttivo chiamarlo o definirlo “italiano” se non nel senso viscontiano e bertolucciano del termine. Un figlio di una settima arte che manca da tanto, troppo tempo nella nostra penisola. La storia di formazione e d’amore al centro del lungo e bellissimo “Chiamami col tuo nome” ha una potenza visiva e narrativa che brilla per vigore e fluidità, è il picco della trilogia che comprende anche l’altro capolavoro “Io sono l’amore” e l’interessante “A bigger splash”. Continua a indagare, Guadagnino, il senso profondo delle emozioni, l’estetica dell’amore, il grande ballo dei sentimenti e gli anni ’80 di cui ci ricorda, ingenuamente, la “craxianità”: fa tutto senza retorica, ma con eleganza e profondità, brillante nel catapultarci in un amore mai banale. Perché quello che colpisce in questo regista è che recupera non solo la bellezza originale del romanzo di Aciman da cui è tratto, ma sa anche far rivivere un cinema che sembrava scomparso - che va da Rohmer a Bertolucci - con una cifra tutta sua, fondata sul far vivere, esplodere di vita, volti come quello di Oliver o luoghi come la villa, che ne custodisce le prime pulsioni verso l’età adulta. Se arrivasse l’Oscar, sarebbe una vittoria e una rivincita. Per lui e chi ci ha creduto.
Ella & John - The Leisure SeekerVoto: 4,5/5 I critici cinematografici sbagliano spesso. Perché sono troppo rivolti al passato e raramente protesi al futuro. Così da anni - il sottoscritto compreso - si dice di Paolo Virzì che sia diventato più romantico, dolce, meno cinico. E “Ella & John”, suo primo film americano, sembrerebbe confermarlo. Invece no: Paolo Virzì è sempre più bravo e consapevole del proprio talento, è ancora più capace che in passato di costruire universi narrativi irresistibili e emozionanti, ma è sempre stato così. Lo abbiamo erroneamente definito “solo” un cineasta capace di fare commedie, ma lì dentro, in tutte quelle commedie, c’era questo mondo che ora sa commuoverci. Forse, sì, è meno cinico, ma neanche tanto. In questo on the road che come sceneggiatura si dedica solo ai dialoghi - e che goduria - trova Helen Mirren (nominata al Golden Globe per questa interpretazione) e Donald Sutherland in stato di grazia e sa seguirli quando serve, così come anticiparli e con immagini e sequenze speciali incastonarli in quello che è un vero gioiello.
My GenerationVoto: 4/5 “My Generation” è uno dei capolavori degli Who. E ora è anche un film, un documentario sulla Swinging London, su quell’Inghilterra piena di vita e d’arte che ha cambiato il mondo. A portarci in quegli anni, tra quei colori, tra le note musicali che hanno rivoluzionato la nostra grammatica esistenziale, è la voce di Michael Caine, uno dei grandi protagonisti di quell’incredibile epoca e quella meravigliosa città. “My Generation” è il racconto di come, in varie arti e in un’unità di luogo e talenti, sia avvenuto qualcosa di speciale. Ed è il tentativo di raccontarlo in un unico documentario, in un solo racconto. Inutile dire che la colonna sonora è pazzesca, ma l’intuizione di Batty è proprio di scegliere come Virgilio il grande Caine, uno che viene - come i Beatles - da una famiglia povera e di estrazione sociale bassa e che muscolarmente, ma anche grazie a doti artistiche raffinatissime, si è fatto largo in un mondo che fino a quel momento sembrava precluso a “quelli come lui”. Faithfull, gli Who (ovviamente), McCarteney e poi le icone come Twiggy: tutto ciò che avreste voluto sapere su quella generazione di fenomeni lo trovate qui. Ed è fantastico.
L’ora più buiaVoto: 2/5 Winston Churchill è uno di quei personaggi storici il cui nome - anche grazie a una serie di massime che sono diventate modi di dire - è persino più celebre della sua faccia, perché quel nome è stato scolpito nella storia in modo indelebile. Per la durata della sua vita politica, per le incredibili svolte storiche che ha vissuto e in parte contribuito, nel bene e nel male, a provocare (dalla Seconda guerra mondiale all’insediamento della regina Elisabetta). Ecco perché il cinema ne ha moderatamente paura: lo racconta, ma sempre con parsimonia e marginalmente. Con “L’ora più buia” e un ottimo interprete come Gary Oldman ci prova e in parte, ma solo in parte, ci riesce. Se da una parte Wright riesce a tenere la tensione narrativa da par suo, così come il suo talento tutto particolare nel ricostruire il passato, dall’altra è difficile non comparare il pur ottimo Churchill di Oldman con quello straordinario della serie Tv “The Crown”, indossato alla perfezione da un John Lithgow. Ciononostante, “L’ora più buia”, pur con le sue pause e i suoi passaggi a vuoto, rimane un thriller politico solido e in qualche momento affascinante.
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