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Il fascino del male contagia il cinemaUn aprile di bei film indipendenti, di riflessioni profonde su temi “totali”. Da Dio al male, passando per il deep webMar 27 Mar 2018 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
I segreti di Wind River
Voto: 5/5
Genere: Thriller
Regia: Taylor Sheridan
Quando un eccellente sceneggiatore - forse il migliore nel cinema moderno - incontra una storia bellissima nella sua mente e poi decide di esordire come regista, il pericolo che tutto venga rovinato è grande. Ma non nel caso di Taylor Sheridan che, per una volta, ha deciso di mettere se stesso dietro la macchina da presa. Scoprendo di avere, lì come con la penna, le stesse qualità: essenzialità, la capacità di raccontare la complessità con limpida lucidità, il valorizzare attori e personaggi nelle loro molteplici sfaccettature. Aggiungendo a questo un gusto mai retorico per scene madri spiazzanti. Qui, poi, è aiutato da due ottimi attori troppo spesso sottovalutati: Jeremy Renner, talento troppo poliedrico per divenire icona, ed Elizabeth Olsen, tornata dopo un periodo non fortunatissimo ai suoi livelli (recuperate lo splendido “La fuga di Martha”) e che consegna, con talento e bellezza, un carisma unico alla sua agente dell’FBI, riuscendo anche a fare da spalla con altruismo e capacità di tenergli testa, al partner maschile, sontuoso. Una storia già raccontata mille volte, quindi - una ragazzina violata e uccisa, il cui cadavere reclama giustizia nelle nevi di una riserva indiana - si innesta di significati politici e umani, senza mai trovare nella banalità la risoluzione di contraddizioni feroci.
Youtopia
Voto: 4,5/5
Genere: Dramma
Regia: Berardo Carboni
Ci sono opere che hanno il desiderio e il coraggio di andare oltre, di giocare con le opportunità che la nostra realtà - anche virtuale - può portare nelle vite di persone normali. Una sorta di fantarealismo che Berardo Carboni, in fondo, percorse anche con il geniale e forse ‘troppo avanti’ “Shooting Silvio” e che ora ritrova, con ben altra estetica e visione, in “Youtopia”, una storia di sogni e squallore, di disagio e vitalità, di mondi che viaggiano paralleli creando di fatto due universi, due film che si innestano uno sull’altro, con creatività e forza narrativa e visiva. Al centro di essi c’è la Shooting Star italiana della Berlinale, quello straordinario talento che è Matilda De Angelis, eccellente esordiente in “Veloce come il vento”, che qui si mette a nudo, senza paure e senza sbagliare mai una scena. è una cam girl la nostra protagonista, ma anche una giocatrice in uno di questi universi magici che in Rete mettono insieme esseri umani di tutto il mondo, bisognosi solo di fuggire altrove, di trovare poesia. Nel mondo reale la nostra eroina sconta una situazione di abbandono morale e materiale - bravissima Donatella Finocchiaro nella parte della madre -, in quello virtuale cerca quei sentimenti che su un monitor vende a pezzi. Di carne, la sua. è un film poetico e sexy “Youtopia”, neorealista e fantastico. Senza (pre)giudizi, ma con la voglia di trovare la favola dentro il fango, ma anche viceversa.
Io c’è
Voto: 3,5/5
Genere: commedia
Regia: Alessandro Aronadio
No, non è un refuso. Il titolo di questo film è proprio “Io c’è”. Ed è in queste quattro lettere che si nasconde l'intuizione geniale di una commedia che all’inizio sembra solo dissacrante e che poi cresce, come la religione che fonda il protagonista interpretato da Edoardo Leo. La storia è semplice: il rampollo scapestrato di una ricca famiglia borghese dilapida, a causa della crisi e della sua imprudenza, una piccola fortuna. Gli resta un alberghetto nel centro di Roma, sempre più vuoto di clienti e fatiscente. Ma l’illuminazione è alle porte: è un convento di suore a fargli capire che, se quella non potrà essere una struttura ricettiva massacrata dalle tasse, potrà diventare un luogo di culto a cui il Fisco non potrà togliere nulla. Ma anche le truffe più goffe nascondono qualcosa di profondo: qui il nostro vate la sua religione (con l’aiuto di un ottimo Battiston e di una sempre in parte Margherita Buy) deve inventarsela. E la trova dentro di sé, inaspettatamente, così come i suoi fedeli che in lui e nelle sue parole trovano consolazione e ispirazione. Perché la spiritualità, la fede, trascendono le loro fonti umane (e fallaci), perché ‘io c’è’ e ognuno è il proprio dio. Perché i miracoli sono negli occhi e nei corpi di chi ci crede. E perché nulla e nessuno è più sacro di te stesso. Aronadio, che ha talento e sensibilità, come in “Orecchie” sceglie un cialtrone arguto - ma buono, vedi il suo rapporto con Giulia Michelini - per raccontare con il sorriso una società sbandata, un album di uomini e donne unici e emarginati, un alfiere di una visione altra. Lo fa senza prendersi sul serio, ma seriamente, con trovate di sceneggiatura e regia sempre originali.
Il cratere
Voto: 3/5
Genere: docufiction
Regia: Silvia Luzi, Luca Bellino
Due registi, due protagonisti, due linguaggi. Il cratere è una sfida che dai due cineasti si allarga a un padre e una figlia che accettano di vivere un’avventura, quella della fama e del successo cercati a tutti i costi, sulla loro pelle. Sharon Caroccia ha una voce meravigliosa e un padre che vuole riscattarsi con e attraverso di lei. Talent, provini, la società dello spettacolo: non si accontenta che lei possa allietare le orecchie di chi va al mercato, mentre lavora con lui, vuole di più. La realtà è che Sharon ha davvero una bella voce e un padre ambizioso, la storia inventata è quella del loro percorso verso le luci della ribalta. O forse no, visto che “Il cratere” li ha resi famosi, li ha portati a due festival (Venezia e… Sanremo) e recitare quella parte in un film è stata come viverla. Documentario e finzione qui vivono un matrimonio profondo, ambiguo, a volte anche inquietante. Attori della propria vita, Sharon e il papà vivono un film, ma non solo. Tutto sotto lo sguardo della coppia Luzi-Bellino, che sa costruire un universo di immagini, parole e note coerente ed emozionante, non perdendo mai i binari paralleli di una storia che vive tra palco e realtà. Non cercate “Indivisibili”, anche se i film possono essere se non fratelli, cugini. E ascoltate Sharon, non solo quando canta.
Escobar - Il fascino del male
Voto: 1,5/5
Genere: biopic
Regia: Fernando Leon De Aranoa
Quando degli attori vogliono un film e un ruolo e li vogliono troppo a lungo, raramente è un bene. Pablo Escobar, il barone della droga che tenne in scacco un continente, ha occupato l’immaginario criminale di tutto il mondo latino e a 24 anni dalla morte è ancora difficilissimo, dai documentari ai film di finzione, trovare un ritratto se non fedele, per lo meno completo. Qui ci prova Javier Bardem a tracciarlo: ingrassa, lo studia, si immerge in un ruolo complesso, che unisce l’amante - di Virginia Vallejo, incarnata dalla sua compagna di vita Penélope Cruz e che lo inchiodò con le sue confessioni alla DEA - al padre, il criminale efferato, il politico populista. Un re capriccioso e ambiziosissimo, che l’attore dipinge nei suoi eccessi, fornendoci un’interpretazione potente e sopra le righe. E sui toni alti il film funziona: sesso, droga e pistole si comportano bene, ma manca l’ossatura del film, la visione intima e altra, quel fascino del male che nel titolo italiano è suggerito, ma nel film non si trova. A eccezione di alcune scene di grande potenza - l’insofferenza alla detenzione dorata del boss, ad esempio -, troppo spesso il ritmo e l'estetica sono televisivi, gli eventi si appiattiscono su una dinamica da crime story di serie B e la biografia di Escobar non ci restituisce l’uomo, ma un’icona distorta, quasi caricaturale. E i due, Javier e Penélope, sembrano divertirsi più degli spettatori.
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