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Robin Wright: Una donna al poterePresidente degli Stati Uniti in “House of Cards”, amazzone in “Wonder Woman” e attivista contro la schiavitù: Robin Wright continua a stupire con forza e grazia.Mar 29 Mag 2018 | di Alessandra De Tommasi | Interviste Esclusive
Hollywood è donna. O almeno può diventarlo presto grazie a voci forti e determinate come quella di Robin Wright. Non solo attrice, ma anche produttrice e regista, al Festival di Cannes ha preso parte ad uno degli eventi più prestigiosi sull’universo femminile e il mondo dello spettacolo, gli incontri Women in motion di Kering creati dalla collega Salma Hayek. Cammina a testa alta, ha smesso di chiedere “permesso” e “perdono” e ha deciso di combattere, fiera, per quello che le spetta. Non è spietata come il suo alter ego in tv in “House of Cards”, il gioiellino firmato Netflix, che la vede nei panni del neo-Presidente degli Stati Uniti, ma possiede una grinta da leonessa difficile da ignorare. Quando entra in una stanza catalizza tutta l’attenzione come una calamita ed è impossibile non essere catturati dalla sua luce. Nel suo look total black, con l’unica eccezione di uno stiletto leopardato, mantiene le mani giunte per tutto il tempo, incrocia appena le gambe e si bagna le labbra con nonchalance appena prima di risponde: stratega navigata, seduttrice involontaria e leader nata, potrebbe davvero conquistare il mondo.
Sembra non temere nulla… stare davanti a lei intimidisce, lo sa? Cos’è cambiato?
«Sono diventata mamma. I figli ti cambiano e ti fanno evolvere».
Quali errori fatti da ragazzina non ripeterebbe?
«Ricordo un episodio in particolare. Avevo 17 anni e mi trovavo a Parigi per un provino. Credevo mi stessero studiando i lineamenti del volto quando ad un certo punto mi hanno fatto alzare la maglietta. L’ho fatto… e poi hanno preso un’altra. Sono rimasta senza parole».
Cos’ha capito in quel momento? «Che le ragazze dovrebbero essere incoraggiate a trovare la propria voce, ma senza urlare. Bisogna unire le forze ed evitare divisioni. Condividere un’esperienza crea un dibattito a livello sociale e aumenta la pro-attività».
Qual è la differenza fra femminismo e femminilità? «Il red carpet è un momento dedicato alla moda, indossi creazioni artistiche degli stilisti e la stampa ti chiede chi sia il nome del designer. Eppure ad un uomo in smoking nessuno domanda mai perché indossi lo stesso completo di tutti gli altri suoi colleghi sullo stesso tappeto rosso. Pensiamoci…».
Per la prima volta un cinecomic, Wonder Woman, è stato affidato ad una donna. E ha sbancato il box office. Se lo aspettava? «Mi sembra giunto il momento che una supereroina venga rappresentata in maniera nuova, che lanci un messaggio di amore e giustizia in chiave moderna e ispiri i giovani. Parlare il loro linguaggio è il modo migliore per condividere con loro temi importanti».
Lei da cosa si sente ispirata? «Dalla scoperta continua della bellezza insita nell’umanità. Siamo tutti connessi, ecco perché condividere una mia esperienza mi fa sentire più vicina agli altri, per toccare il cuore della gente. È questa la motivazione che mi fa alzare dal letto ogni mattina».
Hollywood continua ad essere sessista? «Più di altri ambienti che invece vedono le donne in ruoli dirigenziali. Ma serve tempo per cambiare le cose, ma vorrei per i miei figli che questo accadesse in un futuro prossimo e guardo a leader forti come Michelle Obama perché questo accada».
Quale set nella sua carriera l’ha fatta sentire davvero al comando delle proprie azioni? «”House of Cards” di cui sono anche produttrice: abbiamo sempre sviluppato la storia insieme e non mi sento una minoranza, ma alla pari nel ruolo di protagonista».
La sua Claire non accetta mai di essere messa nell’ombra.
«Osserva tutto e con calma chirurgica opera dei cambiamenti. Spesso non ha neppure bisogno di parole per trasmettere un senso di ambizione e potere. È come un incrocio tra Lady MacBeth e Riccardo III, o almeno così me l’hanno sempre presentata prima ancora che arrivassi sul set. Non è solo “la moglie di”, ma una pari che nella versione originale inglese non era affatto contemplata in questa maniera».
Cosa le ha insegnato la macchina da presa da regista nella serie?
«A fare un passo indietro e ad avere una visione d’insieme più ampia, ho lasciato liberi i personaggi di interagire senza immischiarmi. Ho fatto questo salto nel vuoto con una rete di sicurezza, che mi ha offerto una troupe con cui ho lavorato per anni e il direttore della fotografia che conosco dai tempi di “Forrest Gump”. E, come sempre fatto, ho guardato in faccia la paura e l’ho affrontata».
Sulla cima dell’Olimpo di Hollywood
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