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Ho ‘solo’ denunciato il mio capoAndrea Franzoso, il disobbediente che ha svelato come venivano usati dal suo superiore i soldi dell’azienda: “Ecco perché ne è valsa la gioia!”Mer 30 Mag 2018 | di Angela Iantosca | Attualità
Il suo sorriso è disarmante, pulito e diretto, come quello di un bambino. E quando ti racconta la sua storia alza le spalle, gesticola e sorride per farti capire che la sua scelta è stata ed è normale. Che onestà, rettitudine, integrità sono parole quotidiane del suo vocabolario. Che dovrebbero essere le parole di tutti, perché assumersi le proprie responsabilità rende liberi e felici. E quando qualcuno gli domanda se ne è valsa la pena, lui ti risponde: “Di più: ne è valsa la gioia!”.
Ma cosa ha fatto di così straordinario Andrea Franzoso? A quel punto avevi tre possibilità.
«Denunciare in modo anonimo, come fonte confidenziale, oppure con nome e cognome. Io ho scelto la terza. Perché era giusto metterci la faccia. Non volevo nascondermi né avere paura».
Da allora tutto è cambiato. Ma in meglio! «Dopo la denuncia e l’avvio delle indagini e soprattutto dopo che sono stato individuato come l’“infame” che aveva fatto la spia, sono stato messo nelle condizioni di andarmene dall’azienda. Sono stato isolato e sono stato trasferito in un ufficio in cui non facevo quasi più niente e stare lì così era umiliante. Avrei potuto leggere libri tutto il giorno, guadagnando uno stipendio sicuro, ma sarebbe stato poco dignitoso e io ho una dignità da custodire. Per questo sono andato via. Meglio disoccupato, ma con la schiena dritta. Ho sempre pensato che nella vita in qualche modo avrei potuto cavarmela: meglio scalare qualche marcia, rinunciare a qualche sicurezza, piuttosto che rinunciare a se stessi».
Nessuno dei colleghi ha seguìto il tuo gesto? «Ho avuto accanto solo un collega che mi ha sostenuto sempre. Tante persone sapevano, erano al corrente delle ruberie, ma hanno taciuto, per paura, per viltà o per mera convenienza. Anche coloro che il primo giorno, una volta scoperto che ero stato io a denunciare, mi avevano espresso la loro solidarietà, ben presto hanno smesso di farlo, credo per un calcolo opportunistico o per un facile conformismo».
Cosa ti è capitato in questo ultimo anno? «La qualità della mia vita è migliorata. Prima facevo un lavoro con il quale mi guadagnavo da vivere, ma le mie passioni erano altrove. E allora creavo delle oasi fuori dall'orario d'ufficio, dove accarezzavo la mia anima che portavo a teatro, alle mostre, in montagna, le facevo fare i corsi improbabili, persino uno di editing. E oggi, invece, mi trovo a fare quello che ieri era una passione: scrivo. Che cosa posso desiderare di più? Amo la narrativa e tra i miei sogni c’era quello di scrivere un libro. Non ho neppure dovuto cercare un editore: è stato l’editore a cercare me, chiedendomi di raccontare la mia storia. E poi chi mi ha chiesto di scrivere un libro mi ha proposto di rimanere e ho cominciato a lavorare per Loft, la società di produzione televisiva de “Il Fatto Quotidiano”. All’opposto, quando accettiamo certi compromessi, quelli che ti fanno tradire ilcuore, la vita prende un’altra strada. Non segui la tua. Dèvii e vai verso cosa? Mah, di certo non verso la tua felicità, che ti aspetta lungo la tua strada. Ed è lì che ti devi far trovare».
Hai mai pensato a cosa sarebbe successo se non avessi denunciato? «Se quel giorno non avessi denunciato, oggi magari sarei dirigente, avrei uno stipendio più alto, ma posso dire con certezza che non sarei una persona felice e sarei circondato dai grigi (è così che chiama le persone mediocri - ndr). Oggi, invece, sono ricco di colori. Vedi, la vita ha più fantasia di noi e sa sorprenderci. Sempre».
Spesso ti domandano: avresti fatto la stessa cosa se avessi avuto una famiglia? «Credo di sì. Come del resto se mia moglie mi avesse raccontato una storia simile le avrei detto di denunciare. Una soluzione, poi, la si trova. Ma, se calpesti la tua dignità, è tutto molto più difficile».
Da quando è uscito il libro “Il disobbediente” (Paper First) hai incontrato tanti ragazzi. Quanto ti sei arricchito? «Tantissimo, sia grazie ai ragazzi sia grazie agli incontri e alle esperienze che ho fatto. Quando scegli un cammino, scegli anche i tuoi compagni di viaggio: se scegli la strada della mediocrità viaggerai con persone mediocri, se scegli la verità, l’autenticità, la bellezza… incontrerai persone belle. Ed è tutto più semplice. Perché sei lì dove devi essere e il tuo cuore respira. Non devi fare lo sforzo di recitare un’altra parte che non è la tua. Quante occasioni perse, quante energie sprecate: il vero peccato è quello di non vivere la propria vita».
Che Italia stai vedendo? «Sono stato piacevolmente sorpreso da diverse scuole. Per esempio, in una scuola di Scampia ho trovato insegnanti appassionati e un bravo preside. Ho trovato giovani che hanno molto da dare. Alcuni di loro mi hanno anche scritto in privato. Un ragazzo di prima superiore si è addirittura presentato all’incontro con la cravatta: a modo suo, voleva esprimermi il suo rispetto. Non mi è capitato da nessun’altra parte. Ho sorriso, commosso. Riscontro molta più attenzione negli istituti tecnici e nei professionali. Non è vero che i ragazzi sono indifferenti e apatici. Dipende da ciò che dici. Se di fronte a loro trovano qualcuno che più che dire le cose le rappresenta, perché le ha vissute in prima persona, loro ci sono, ti seguono e non scappano al suono della campanella».
C'è qualche episodio che ti ha colpito? «Tanti episodi. Perché in tanti si confidano: non posso dimenticare una ragazza che al termine di un incontro si è avvicinata e ha detto “mi piace quello che dici, ma a casa i miei genitori dicono l’opposto e vivono l’opposto”. Poi si è messa a piangere… Spesso il problema sono gli adulti, non i giovani. Sono fin troppo bravi questi giovani, se pensiamo alla società nella quale li facciamo vivere e ai modelli che diamo loro».
Quanto ti ha cambiato questa esperienza? «Non mi ha cambiato: sono sempre io. Mi ha permesso di esprimermi meglio, più liberamente. Mi ha reso più sicuro e più forte. Anche quando ero nell’Arma dei Carabinieri, una volta a settimana, andavo nelle scuole per parlare con i giovani, fare percorsi di educazione alla legalità».
Molti ti diranno: è normale che tu abbia denunciato visto che sei stato in seminario per alcuni anni e nell'Arma dei Carabinieri. «Nell'Arma e tra i preti ci sono tante brave persone e tante altre che brave non sono. La differenza la fa ciascuno di noi, non l'abito o la divisa che si indossano. Da ragazzo sognavo di fare l’ispettore Derrick o il giornalista investigativo o il magistrato o l’insegnante di filosofia e alla fine sono entrato nell’Arma. Poi ho capito che quella non era la mia strada. Il fatto di lasciare una carriera e intraprendere la strada dei Gesuiti e poi tutto il resto dice qualcosa di me… Il mio libro non è un libro denuncia: come ha scritto Milena Gabanelli “è un libro contro la paura”, per incoraggiare altri a fare la scelta giusta senza la necessità di essere dei supereroi! Più volte ho fatto saltare la mia carriera perché non mi corrispondeva. Perché dove non mi si scalda il cuore, io mi rimetto in discussione e cambio strada. La vita è una e vale infinitamente più di una carriera».
Quanto è contagiosa l'onestà? «La bellezza è contagiosa. E l'integrità, più che l'onestà, diventa contagiosa se gli altri vedono in noi delle persone felici e serene. Se io fossi rancoroso, arrabbiato, diventerei repellente. Quello che dico oggi, che ho un lavoro, lo dicevo un anno fa, quando ero senza lavoro, anche quando nel mio conto corrente vedevo solamente uscite e non entrate, anche quando sapevo che avevo un’autonomia di pochi mesi. Non mi sono mai abbattuto: pensavo che avrei affittato casa per pagarmi il mutuo, avrei preso una stanza in affitto, avrei fatto maggiore economia e sarei ripartito, anche facendo il libraio a Edimburgo! E poi… lo posso dire?... adoro le sorprese, l'imprevisto. Mi piace succhiare fino in fondo il gustoso succo che la vita mi offre».
‘Loro’ che fine hanno fatto? «Non lo so. Mi auguro che possano aver compreso gli errori commessi. Alcuni continuano a guadagnare centinaia di migliaia di euro e ad accumulare posti di potere. Ma non so se sono felici. Temo di no. Io posso dire di essere contento della mia vita. La mia scelta dimostra che le cose possono cambiare. Il presidente-ladro ha dovuto restituire il maltolto ed è stato condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere».
Cosa vorresti? «Che un giorno le persone, leggendo questo libro, dicessero: “Ma di che parlano?”. Vorrei che andassero a cercare nel vocabolario cosa significa la parola “omertà”, perché caduta in disuso».
A proposito, ricordiamo che tu non sei un eroe! «Ovvio che no. Ho fatto semplicemente ciò che andava fatto. Credo che l'eroicità stia nella quotidianità. È più difficile essere una persona perbene ogni giorno che avere lo slancio di un momento. È simile alla differenza che passa fra la passione fugace di un momento e l'amore, quello vero, che ti lega alla persona che ti è accanto anche quando il trascorrere del tempo l’ha cambiata nell’aspetto fisico, ma che ami proprio per quelle rughe, quelle pieghe sulle quali puoi leggere la vita trascorsa insieme».
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