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Diane Kruger: Allure d’altri tempiA dispetto della presenza minuta, Diane Kruger vanta un carisma gigante, on e off set. La fama? Le ha insegnato a trovare la sua voce e a farsi valereGio 28 Mar 2019 | di Alessandra De Tommasi | Interviste Esclusive
Oggi non indossa tacchi vertiginosi, come le piace fare di solito, perché la sera prima le scarpe nuove le hanno fatto male, così Diane Kruger è più “a portata di sguardo” del solito. Qualcuno dovrebbe dirlo che non ha bisogno di alcuno stiletto per incutere un timore reverenziale in chi ha di fronte. Ci riuscirebbe benissimo anche indossando un pigiama con gli unicorni.
Il suo concetto di attivismo passa dalla selezione degli eventi a cui presta il volto, come i talk “Women in motion” di Kering a Cannes, e non solo dalla scelta dei copioni. Ultimamente si è trasformata in spia per “The Operative” - presentato alla scorsa Berlinale - e artista controversa per “Jeremiah Terminator LeRoy”, in anteprima al Festival di Toronto. L’ultimo ruolo in cui il pubblico italiano l’ha vista (i due appena citati sono ancora inediti nella Penisola) è quello di donna in lutto: in “Oltre la notte” ha perso marito e figlio a causa di una bomba. Non permette più a nessuno di etichettarla come “biondina dagli occhi di ghiaccio” né di affibbiarle la parte della docile femminuccia. I quarant’anni le hanno regalato una libertà nuova e non vede l’ora di continuare ad usarla.
Quando ha capito che poteva alzare la voce per farsi sentire?
«Non dico che mi sono sentita ignorata, ma c’è stato un tempo in cui cercavo di raggiungere i miei obiettivi “con le buone”. Ora non me ne importa più niente, ho smesso di girarci intorno, vado dritta al punto, mi conquisto il rispetto che merito con il duro lavoro. Quindi voglio essere trattata al pari di un uomo».
Hollywood, però, mette addosso alle attrici una pressione enorme sul dover essere continuamente perfette. «Certo, le donne vogliono che la gente pensi bene di loro e per farlo devono comportarsi “bene”, essere sempre gentili e docili. Con l’età ho invece acquistato una maggiore sicurezza in me stessa, la stessa che vedo nelle nuove generazioni. Le ragazze di oggi sanno di poter avere quello che vogliono e se lo vanno a prendere».
Quale attrice l’ha ispirata, crescendo? «Romy Schneider, anche perché sono cresciuta in Germania dove Sissi l’ha resa un monumento nazionale, un appuntamento fisso ogni Natale. E, ovviamente, Julie Andrews in “Mary Poppins” che sa far tutto».
Durante le riprese del suo ultimo film, “The Operative”, era incinta. Non ha chiesto un po’ troppo a se stessa, immergendosi emotivamente nella vita di una spia? «Girare per otto settimane con il caldo torrido di Israele non è stato facile, come rinunciare ad alcuni piaceri della vita come birra e vino durante i ciak in Germania, ma quello che mi ha lasciato maggiormente il segno è stato lo sforzo di diventare “una spia”».
Ha fatto azioni sconsiderate? «No, ma ho iniziato a testare la mia capacità di mentire. Fermavo la gente per strada, convincendola ad accompagnarmi da un punto A ad un punto B o entravo in un negozio chiedendo con una scusa di affacciarmi al balcone. Avevo bisogno di essere convincente».
E poi? «Per una settimana almeno mi sono sentita uno schifo a mentire a persone così gentili, considerando il fatto che se avessi bussato alla porta di casa di qualcuno a New York probabilmente mi avrebbero sparata».
Aveva mai visitato Israele prima d’allora? «Mai, ma è un luogo incredibile, anche se pieno di contraddizioni. Mi sembrava strano stare seduta in spiaggia sapendo che a 20 chilometri di distanza vengono lanciati dei missili e questo mi ha permesso di mettere le cose in una prospettiva diversa rispetto al racconto dei telegiornali. È stato educativo visitare Gerusalemme, il Mar Rosso e Tel Aviv, una lezione di vita che sono felicissima di aver imparato».
Lei conosce molte lingue, sarebbe un agente segreto in gamba? «Non credo proprio: non sarei in grado di ricordare numeri e lettere entrando in una stanza, di memorizzare ogni dettaglio, ma soprattutto sviare gli altri, pianificando in anticipo le loro reazioni».
Anche in “Oltre la notte” compie un viaggio umano a dir poco intenso, affrontando un tema delicato come il terrorismo. Perché questa scelta? «Perché viviamo in un’epoca pericolosa dove ormai siamo quasi desensibilizzati alla violenza. Il mio personaggio, Katja, non è un’assassina, ma una donna normale che finisce in condizioni sfortunate. Ma cosa avremmo fatto al suo posto?».
Lei come reagisce davanti a tanta brutalità? «Come essere umano e come cittadina del mondo non ho dormito per giorni dopo l’attentato di Manchester. Quell’orrore mi permea l’anima e non mi abbandona, ecco perché ora più che mai il cinema ha bisogno di rappresentarlo e di chiedersi cosa ci sia dietro».
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