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Luciano Lutring, le 2 vite del bandito“Solista del mitra” negli anni ‘70, oggi artista multiformeVen 01 Ago 2008 | di Valeria Bianchi | Interviste Esclusive
Questa è una storia di miracoli, ma più che di incenso sa di polvere da sparo. è una storia di malefatte e di perdono, di morti e di rinascita. Una storia che continua ancora oggi, ma che parte da un tempo che non c'è più, quando la criminalità si chiamava malavita. C'è differenza o è solo una questione di parole, un filtro linguistico col quale coloriamo di romanticismo i misfatti del passato? C'è differenza. E per capirlo basta ascoltare Luciano Lutring. La nascita del mito Anni ‘70, Milano violenta E' il gennaio del '58 quando la banda entra in azione. Bloccano il furgone portavalori della Banca d'Italia, sono armati di mitra, ma li usano solo per spaventare, come antidoto a ogni possibile volontà di resistere. Gli unici atti violenti, in tutta la rapina, saranno la martellata vibrata per rormpere il vetro del blindato e impossessarsi di una cifra enorme, e le borsettate di una vecchietta. Quelle borsettate, più di ogni altro elemento di questa storia, sono rimaste nel tempo. La vecchietta che passa durante la rapina non esita un secondo, colpisce gli uomini col mitra e li apostrofa in milanese: “Andate a lavorare”. Da un balcone qualcuno li vede e gli scaglia contro delle bottiglie. Borse e bottiglie contro mitra. Oggi chi lo farebbe? E chi avrebbe il fegato di tirare dritto col piano prestabilito, portar via il denaro senza usare i mitra, senza fare nemmeno un ferito? Eppure è la “Milano calibro 9”, in cui le bande criminali si moltiplicano, e c'è anche chi spara e uccide. Ma non Lutring. Col numero delle bande, si moltiplicano anche i colpi, le ligère, come si diceva allora nel gergo dela malavita. «Una volta – ricorda l'ex bandito, mentre la mano gli corre a un bicchiere di rosso - entriamo in una banca in piazza Napoli e spianiamo le armi. Il cassiere ci guarda e sbotta: “Ancora!”. Noi siamo stupiti dal suo stupore, ma recitiamo il solito copione: “su le mani, metti qui dentro tutti i soldi”, eccetera. Ma lui ci dice che sono appena passati quelli della banda del Lunedì e hanno già portato via tutto. “Se volete ci sono un po' di spiccioli”, ci invita. E noi gli rispondiamo: “ué, ci hai presi mica per barbùn, torniamo un'altra volta”. Usciamo e andiamo a guadagnarci la giornata da un'altra parte. Ecco, era un'epoca che succedevano cose così». Rapinatore per caso Seguiranno mille avventure, colpi geniali, fughe, misfatti e gesti di generosità: «La gente mi voleva bene - ricorda - perché quando rapinavo una banca passavo anche alla cassa cambiali, me le facevo consegnare e le bruciavo. Così contento io, contenti tutti quelli che vedevano il debito estinto». Il tutto annaffiato da amori da romanzo, champagne e serate al night. 2 arresti e 2 grazie Dopo nove anni arriva la grazia del Presidente francese. «Col sistema francese – spiega - lavorando avevo pagato le spese carcerarie, quelle della giustizia e mi era rimasto un piccolo capitale, per ripartire al momento della liberazione. Non come in Italia, dove hanno fatto un indulto generalizzato, che non ha fatto distinzione tra chi meritava di uscire e chi no. E quando è scattato? In agosto. Ma uno che, dopo tanto tempo in cella, si trova libero nella Milano vuota di agosto, cosa può mettersi a fare? Rubare!». Lutring invece viene rispedito in cella, a scontare le condanne italiane. Altri cinque anni, poi accadrà un fatto eccezionale: anche il Presidente della Repubblica italiano gli concede la grazia.
La nuova vita di Luciano Ancora un dolore, e non l'ultimo, nella nuova vita di Lutring. Inizia una vita da celebrità: la sua storia diventata un film di Carlo Lizzani, viene invitato in tv a raccontare come si fa a rinascere e ricominciare una nuova vita, i suoi quadri e i suoi scritti vengono apprezzati. Arriveranno anche tre figli, le gemelle Katiusha e Natasha e Mirko, che morirà in un assurdo incidente: restando fulminato, mentre nuota nel Lago Maggiore, a causa di un cavo dell'alta tensione scoperto. Lutring non farà nemmeno causa all'azienda elettrica: «Io sono stato perdonato, è giusto che perdoni a mia volta. Ma dopo la morte di Mirko, mia moglie scivolò nel dolore e il matrimonio andò in crisi». Il giudice, altro caso raro, affiderà al papà le gemelle. «Ora sono due ragazze grandi e vivono lontano, ma io mi preoccupo per loro. La notte non riesco a dormire se so che sono uscite e non mi chiamano al rientro». Proprio così, il “pericolo pubblico numero uno” teme il crimine di oggi. «C'è tanta arroganza anche nel modo di delinquere oggi e anche la mia Milano non la riconosco più. Io non ho lasciato morti dietro di me». E' fatto così Lutring, invoca il rispetto della vita “per chi se lo merita”, ha pagato un conto salato ed è grato per le occasioni che ha avuto, e del crimine di oggi critica la mancanza di un'etica, per quanto delinquenziale. «Volevamo conquistarci soldi, bella vita e avventura. Ma se pensi di essere in gamba lo dimostri, mica rapini la pensione alle vecchiette». C'è una morale anche nel vivere fuori dalle regole, ma alle regole oggi si crede sempre meno. Lutring però non è uno che vive di rimpianti, e, anche se dice di essere “un uomo che ha corso tanto e ora vorrebbe riposare”, gira con sottobraccio l'ultimo progetto, un giallo in cerca di editore. E risalendo sulla sua vecchia Volvo ti saluta con una battuta: «Sono contento che presidente del Consiglio sia diventato uno ricco. Sai com'è, in caso dovessi riprendere la mia attività, riaprire la mia partita Iva - e aggiunge, mimando una pistola -: così per far fare un po' di ginnastica al dito».
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