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Uma Thurman: «I miei piedi sinistri»Alla vigilia dei cinquant’anni, Uma Thurman è più radiosa che mai e ripercorre i cult di una carriera che, da “Pulp fiction” a “Kill Bill”, ha scritto la storia del cinemaGio 30 Mag 2019 | di Alessandra De Tommasi | Interviste Esclusive
Non passa inosservata. E la fama non ha nulla a che vedere con l’assoluta incapacità di mescolarsi tra la folla e scomparire: fin da ragazza Uma Thurman spiccava tra le sue compagne. Per la statura, certo, ma anche per la personalità, anche se ancora non lo sapeva. Lo ha confessato sul palco di Series Mania, il festival della TV di Lile, al pubblico francese che era lì per la premiere mondiale della serie Netflix “Chambers”, un family drama dai toni soprannaturali. Ha ancora paura di sembrare stramba e fuori luogo, ma lo confessa con assoluto candore, o meglio con la sfacciataggine che alla vigilia dei 50 anni sente di poter vantare. Ha ragione: la diva di “Kill Bill” e “Pulp Fiction” può assolutamente tutto. Sul set e fuori.
Partiamo dall’inizio: com’è iniziata la sua carriera? In che senso?
«Ero dislessica e fino all’età di nove anni non sapevo leggere bene, non mi sentivo centrata e a mio agio se non quando ero in scena».
Anche sua mamma ha fatto la sua parte? «Lei mi portava al cinema quando ero piccola e papà, da insegnante, mi leggeva le poesie e così mi sentivo affascinata dall’arte nelle sue varie declinazioni».
Come ha risposto quando le ha detto di voler fare l’attrice? «È successo a 12 anni, ha fatto spallucce e mi ha risposto: ‘Tesoro, lo dicono tutti’. E in realtà non sapevo se fosse possibile o no, ho solo visualizzato qualcosa che poi per miracolo si è avverato».
Quali sono state le svolte della sua vita? «A 15 anni i miei genitori mi dissero: ‘Sei molto indipendente’. E l’anno dopo ho ottenuto il primo ingaggio al cinema, continuando a lavorare ininterrottamente fino a quando non sono diventata madre».
Con quali modelli è cresciuta? «Doris Day, prima di tutto, ma anche Tess dei d’Urberville e poi le performance di Diana Keaton e Meryl Streep. Mi affascina un buon dramma e non solo una storia romantica».
Un collega per cui si è quasi presa una cotta sul set? «Keanu Reeves, che ha un fascino incredibile. Ma, giusto per chiarire, tra di noi non c’è stata alcuna storia d’amore».
Cosa pensa quando le capita di vedere la scena di ballo di “Pulp Fiction”? «È stata un’esperienza epica, ma ancora oggi la vivo con una sorta di stress post traumatico. Una bella sfida, ma non potevo tirarmi indietro. Anche se oggi so bene che non sarei all’altezza di partecipare ad un musical, probabilmente ho due piedi sinistri. Ricordo ancora che il coreografo del mio ballo del liceo impazziva quando io puntualmente mi muovevo sempre nella direzione sbagliata».
Non si considera una ballerina coi fiocchi, se la cava meglio con il canto? «Macchè, anche se poi mi sono cimentata in “Smash” (prodotta da Steven Spielberg - ndr). Anche in quel momento provavo quella sana paura che mi fa sentire viva. Che ti migliori o ti prosciuga le energie, non lo so bene, ma di fatto anche stamattina ero terrorizzata all’idea di incontrare il pubblico. Credo che mi renda umana».
Come sceglie un progetto? «Devi amare il “pacchetto completo”, perché è una situazione di gruppo, da “comune”, se vogliamo metterla così. A volte t’innamori di un progetto perché vuoi lavorare con un determinato regista o attore, altre invece vuoi cimentarti in qualcosa di nuovo, oppure abbracci un progetto per le opportunità che ti dà o se rientra nel ventaglio delle cose che cerco».
Come mai di recente si dedica soprattutto alle serie tv? «Fin da ragazza son stata folgorata dai telefilm, anche se i miei genitori non erano al settimo cielo per le ore che passavo davanti al piccolo schermo. Al punto che papà metteva la mano sul televisore per controllare che non fosse troppo caldo. Se lo era, finivo nei guai».
Lei è più permissiva con i suoi figli? «Sei anni fa mio figlio è diventato il mio compagno di serie tv, l’ho convinto a vedere “Homeland” e lui si è un po’ ribellato: “Sei sicura che sia adatto alla mia età?”. Insomma, ne vediamo tantissime e ci divertiamo un sacco insieme».
Alla vigilia dei 50, è tempo di bilanci nella carriera? «La carriera è una concatenazione di fattori diversi, di coincidenze e anche magia. E persino quello che va male ti porta poi verso quello che va bene. L’unica cosa che conta è la perseveranza».
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