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Danzare per me è vivereA giugno a Milano torna Contaminafro, diretto da Lazare Ohandja, e che quest'anno ha come tema quello dell'evoluzione: teatro, danza, musica, installazioni per far incontrare diverse cultureGio 30 Mag 2019 | di Angela Iantosca | Attualità
Forse è nato danzando Lazare Ohandja. E il suo pianto di bambino in fasce deve essere stato il motivo musicale che accompagnava i suoi movimenti. Perché la danza è sempre stata la sua vita.
«Chiedermi perché ho cominciato a danzare è come chiedermi perché ho cominciato a vivere… Quando tu scrivi, stai ballando. Quando al Sud parlano, stanno ballando, quando si fanno dei gesti si balla, quando ci si bacia si danza, quando ci si abbraccia, quando si fa l'amore si danza, anche quando camminiamo perché tutto è nel ritmo, perché la vita è danza… senza danza non sarebbe vita…». Nato in Camerum quarant'anni fa, dal 2004 si è trasferito a Milano, città nella quale, per il sesto anno consecutivo, a giugno presenta “Contaminafro”, un festival di contaminazioni artistiche da lui ideato e diretto.
Qual è la cifra caratteristica dell'edizione 2019? «L'evoluzione, un’evoluzione che è culturale e umana, che riguarda il momento storico nel quale ci stiamo trovando in Italia. Siamo in un momento di confusione: gli italiani non hanno l'abitudine a convivere con l'arrivo improvviso e in massa di persone straniere. Questo crea paura, non razzismo, perché la gente non si aspettava un’immigrazione così forte. C'è già fatica nel convivere tra le diverse culture italiane, figuriamoci quando si deve convivere con qualcuno che viene da fuori. Il problema è che gli stranieri fuggono dalla guerre, poi arrivano qui in Italia e la gente non è pronta ad accogliere… Non siamo abituati, ci vorrebbe del tempo, ma il tempo non c'è».
Tu come ti sei trovato a Milano?
«Personalmente penso che a Milano la convivenza sia un po' difficile, c'è una certa freddezza. Quando sono arrivato, non parlavo italiano e per i milanesi è importante parlare bene l'italiano per poter essere accolti. Anche le abitudini sono diverse. E poi ci sono delle regole. E per un artista è molto difficile, devi accontentarti e non fare esattamente quello che hai nella testa e questo per un artista può essere un limite. Ho avuto parecchi problemi come danzatore e coreografo ad inserirmi nella comunità italiana».
L'arte può aiutare a superare queste barriere?
«L'arte, la musica sono un passaggio fondamentale per superare queste difficoltà. Per questo, nell'edizione 2019 di “Contaminafro” abbiamo inserito nuovi elementi, come la comunità cinese. A Milano ci sono diverse comunità, ma è difficile vedere insieme la comunità cinese con quella africana e quella italiana. Per noi, quindi, è una vittoria aver coinvolto i cinesi con la loro cultura. Perché le cose cambino, devono essere inglobate tutte le comunità e le varie culture che convivono in un territorio. Il problema dell'integrazione è un problema di tutti e dobbiamo lavorare insieme, contaminando… le diverse culture. Anche tramite la danza».
Che cosa è per te l'identità? «L'identità per me non è quella africana, non è quella europea. Sono nato e cresciuto in Africa, da sedici anni vivo in Italia, quindi non mi sento solo africano o solo italiano. Ho una mia identità che è data dalla somma di queste due condizioni».
Come risponde Milano alla contaminazione?
«Comincia a svegliarsi, è curiosa delle novità… Quest'anno, per esempio, oltre alla Cina, portiamo anche la Taranta, dal sud italia, un Sud che è molto vicino all'Africa!».
Il festival vuole essere luogo di scambio tra italiani e immigrati: qual è il muro più alto da scalare?
«Il nostro ego! Dobbiamo imparare a superare le nostre convinzioni, dobbiamo quindi disimparare per poi imparare insieme agli altri, solo così possiamo avanzare. Senza questi passaggi, il rischio è che la cultura rischia di morire. La curiosità ci può salvare e la pazienza di conoscere l'altro con calma».
Avete mai pensato di portare fuori Milano il vostro festival?
«Se ci fossero supporti, saremmo disposti ad organizzarlo anche a Roma e Napoli!».
CONTAMINAFRO A MILANO
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