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Tutti pazzi per ScarlettScarlett Johansson si è presa una pausa dalle tutine in latex e ha deciso di vestire i panni della mammaGio 26 Set 2019 | di Alessandra De Tommasi | Interviste Esclusive
Si concede poco, anzi pochissimo. Scarlett Johansson fa tremare i polsi a reporter e paparazzi. Per il fascino prorompente, certo, ma anche per un caratterino non facile. In nessuno dei quattro incontri professionali in cui le nostre strade si sono incrociate è stato possibile usare la frase “è andato tutto liscio”. La regola con miss Vedova Nera prevede almeno un’ora di ritardo. La causa? Sempre ignota (o quasi). Lo stuolo di agenti, assistenti e addetti stampa iniziano ad arrampicarsi sugli specchi, meglio dell’Uomo Ragno per cavarsi d’impaccio, ma niente da fare. Tutti scalpitano, ma nessuno lascia la sala perché vale sempre la pena aspettare la diva più richiesta e pagata dello starsystem.
Impossibile però dimenticare la serata capitolina della première del primo capitolo di “Avengers”, in cui le cinque ore di attesa hanno scatenato l’ira funesta dei fotografi. Tutti sul red carpet, certo, ma con le macchinette fotografiche rivolte al contrario, in segno di protesta. Mentre i colleghi Mark Ruffalo e Tom Hiddleston si sono affrettati a scendere dal palco per capire cosa stesse succedendo, lei è rimasta, in posa ieratica, immobile al suo posto, sorridente e con la manina alzata in segno di saluto. Niente da fare, vince sempre lei. Anche nella scelta dei copioni. Prima di tornare nel blockbuster Marvel dedicato al suo personaggio Vedova Nera, delizia con un paio di storie intime che mostrano il suo lato materno e tenero. In “Storia di un matrimonio” (su Netflix dal 6 dicembre dopo l’anteprima alla Mostra di Venezia e al Festival di Zurigo) la sua Nicole è alle prese con un divorzio, mentre in “JoJo Rabbit” (in uscita il 23 gennaio, dopo la vittoria del premio del pubblico al Festival di Toronto) scopre che il figlio ha come amico immaginario Adolf Hitler.
Cosa ha imparato sull’amore da “Storia di un matrimonio”? «L’ho girato mentre io stessa stavo divorziando, in un gioco di specchi davvero intimo. Si capisce che due persone si vogliono bene, ma in alcuni momenti sarebbe meglio per entrambi intraprendere percorsi emotivi diversi. A volte l’amore non basta e resta solo l’affetto o la compassione, ma l’importante è che in un rapporto si sia sempre onesti mentre ci si guarda negli occhi».
È mamma sia in questa storia che in “JoJo Rabbit”, come nella vita. «E la mia maternità mi ha aiutato con entrambe queste donne, perché si vede che i rispettivi figli rappresentano il cuore delle loro vite. E alcune volte a guardare le scene mi si spezza il cuore».
Nel film di Netflix interpreta un’attrice: vede delle similitudini con la sua vita? «Certo, mamma è stata la mia manager e io stessa sono stata un’attrice bambina, ma le dinamiche familiari sono diverse e Nicole lotta per trovare una legittimazione nel matrimonio».
Non è stato troppo doloroso divorziare sul set e nella vita? «Certo, alcune ferite le rivivevo più volte, ho attinto da sentimenti molto personali, forse più di quanto non me ne sia resa conto a livello cosciente. A mia discolpa va detto che non avevo idea del contenuto del copione e, quando l’ho letto, i dialoghi mi sono sembrati talmente naturali da diventare veri».
Crede nel destino? «In questo caso sì: è stata un’esperienza catartica che mi ha permesso di mettere in scena le mie fragilità, ma in uno spazio protetto in cui sentirmi al sicuro».
Chi è, invece, Rosie, la mamma di JoJo Rabbit? «È una donna dolce, al limite dello zuccheroso, che ti dà proprio il senso dell’amore materno, delle coccole e della protezione oltre che la dimensione del gioco. A volte è talmente esuberante e ricca di sfumature da sembrare un giocoso pagliaccio o un pagliaccio triste, dipende dai casi».
La storia è stata controversa. In pratica è una sorta di “La vita è bella” per certi versi, dove una tragedia diventa un gioco agli occhi di un bambino. «È vero, questo film ha un sapore agrodolce, perché mescola molti stati d’animo e situazioni e il rapporto madre-figlio arriva a spezzarti il cuore. Il tema del nazismo è toccato con tale sensibilità e umanità che darà al pubblico molto su cui riflettere. E ai genitori in particolar modo, perché capiranno le ragioni di Rosie ed empatizzeranno con il suo desiderio di proteggere il bambino senza investirlo della brutalità che lo circonda».
Anche lei aveva amici immaginari da piccola? «Non ne avevo bisogno, con un gemello sempre tra i piedi non c’era proprio spazio per qualcun altro!».
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