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La vittoria di mangiafuocoIperinformazione e superficialità: è questa la società ottusa nella quale i problemi sono risolti dalle AppGio 05 Dic 2019 | di Angela Iantosca | Media
Siamo tempestati da news, aggiornamenti di stato e notizie che leggiamo fino al titolo e al sommario. Ripetiamo come pappagalli frasi ad effetto, a volte anche in latino, sbagliando declinazioni e coniugazioni. Sappiamo parlare (un po') di tutto, ma mai in modo approfondito, perché ciò che conta davvero per noi è trovare l'aforisma giusto che accompagni le nostre foto ritoccate da postare per ottenere tanti like: perché senza like non siamo nessuno, anzi siamo sfigati. Non usciamo mai dalle nostre comfort zone, facciamo fatica a interagire e, se stiamo vivendo qualcosa nella vita reale, tendiamo a ‘schermarla’ con un cellulare di ultima generazione con il quale fotografiamo o riprendiamo quel qualcosa per postarlo, facendo sapere a tutti dove siamo, con chi stiamo e come stiamo. Anche se, molto spesso, quel 'come stiamo' non corrisponde al reale, ma è l'ennesimo tentativo di attirare attenzione e quindi like. Il nostro io, ridotto a un minus habens, si ritrova così sempre più ingabbiato in un contenitore che sembra connetterci con il mondo, ma che in realtà ci separa da esso, potenziando il nostro narcisismo e le nostre fragilità. Per fuggire dalle quali ci disconnettiamo (solo) da noi stessi.
Convinti di essere liberi, questa è la verità, in realtà siamo schiavi inconsapevoli e sempre più prodotto di un mezzo di distrazione di massa... Di tutto questo e di molto altro ci parla Paolo Ercolani nel suo “Figli di un io minore. Dalla società aperta alla società ottusa” (Marsilio) che, attraverso la filosofia, ci spinge a comprendere come quello virtuale non può essere il migliore dei mondi possibili.
Chi sono i componenti della società ottusa?
«Sono i figli di un io minore. I nativi digitali, ma anche gli adulti. Sono quelle persone che si preoccupano di apparire belle e interessanti nella vita virtuale, mentre nella vita reale sono incapaci di allacciare relazioni dialogiche e sono anche ignoranti, sicuramente più di quanto appaiono in rete. Perché, grazie a questa opulenza informativa, siamo informati su tutto, ma male».
Quando la società aperta è diventata ottusa?
«La data convenzionale è il 1995, perché è l'anno in cui è comparso sul mercato Windows 95 che ha reso l'uso dei computer facile anche per persone che non ne avevano mai fatto uso, innestando il meccanismo per cui la vita virtuale ha colonizzato la vita reale».
Chi vuole che le cose stiano così?
«I due poteri oggi dominanti e assolutamente non soggetti in alcun modo alla democrazia: il potere finanziario e quello tecnocratico. Ti faccio questo esempio: nella Silicon Valley, dove hanno sede le aziende più importanti, come Amazon e Microsoft, i grandi capi hanno fatto una colletta per istituire un intero percorso scolastico dove mandare i propri figli e i figli dei dirigenti e dei dipendenti. In questa scuola c'è un unico regolamento: vietato l'ausilio della tecnologia. Quindi, se proprio loro che si stanno arricchendo con queste straordinarie tecnologie vietano ai figli di utilizzarle, questo ci dà la misura di come siano consapevoli che la loro operazione è volta a renderci ottusi».
Cosa impedisce lo sviluppo dell'Io?
«Uno studioso contemporaneo, Carr, fa l'esempio del martello. La mano di ogni essere umano è una cosa straordinaria, perché puoi fare di tutto con lei: suonare, accarezzare, impugnare, scrivere. Quando impugni un martello, puoi fare solo una cosa. Quindi se persino un banale martello esercita un effetto di ritorno così importante su un essere umano, quale effetto potranno produrre le macchine sulle quali investiamo tutta la nostra personalità, dal momento che impariamo la vita attraverso l'intermediazione di esse?».
C'è un prezzo da pagare, dunque?
«Certo, come nel paese dei Balocchi della favola di Pinocchio, dove non solo si rimane burattini, ma si hanno degli effetti collaterali sul piano cognitivo, emotivo e sulle capacità di allacciare le relazioni con gli altri. Ti faccio un esempio. È uscita una App, Invisible Boyfriend e Girlfriend: nata negli Usa, si sta diffondendo in Europa e sta arrivando in Italia. La persona, in base ai suoi gusti sessuali, comunica il fisico della persona che le piace e il programma produce un avatar. Non solo: puoi anche comunicare cosa ami sentirti dire… Ecco, i dati in America dicono che il 78% degli adolescenti, pur avendo un fidanzato, non rinuncia ad avere l'amante virtuale. Perché? Perché la creazione virtuale sarà sempre più perfetta di quella reale».
Tutto questo cosa produce?
«Che questi ragazzi non imparano l'importanza dello sbagliare. Eppure noi cresciamo proprio sbagliando! Oggi siamo nella società del vietato sbagliare e per questo c'è una App per tutto. Siamo nel mondo dei Balocchi dove per ogni cosa ti dicono cosa fare e dove trovare la soluzione: per questo nel libro parlo della vittoria di Mangiafuoco che tira i fili di noi burattini».
Che non è molto diverso dalla droga che diventa un viatico alla sofferenza e dal Viagra che sempre più adolescenti prendono per evitare la paura della prima volta.
«Il Viagra crea proprio il meccanismo dell'insicurezza. Io ho tanti coetanei che lo usano, pur essendo uomini sui quaranta o sui cinquant'anni. C'è un episodio significativo che racconto nel libro: parlo di un ragazzo che a 18 anni si trova nella stanza con la sua fidanzata con l'idea condivisa di avere un rapporto sessuale, senza riuscirci. Quando gli psicologi, a distanza di alcuni anni, gli domandano come si sentisse in quel momento, lui risponde: “Mi sentivo scisso in due. Fisicamente ero lì, mentalmente pensavo a tutti i siti pornografici visitati da quando avevo 13 anni”. Quindi, nella sua testa c'era il mondo virtuale delle performance incredibili, delle ragazze super dotate, mentre di fronte a lui c'era la normalità, con le sue imperfezioni, con le paure e le timidezze che possono accompagnare una prima volta».
Cosa vede nelle università?
«Vedo ragazzi che non riescono più a intervenire in pubblico anche solo per fare una domanda. Sono terrorizzati dall'idea di essere guardati, perché sono abituati a parlare nell'ambiente protetto della loro stanza, dietro uno schermo. Vedo ragazzi e ragazze che fanno sempre più fatica ad esprimere con le parole il loro pensiero. Uno studio recente dice che un adolescente negli ani '80 possedeva 2000 parole. Ora gli adolescenti ne possiedono sotto le 1000, perché interagiscono con le emoticon, cosa che crea grossi problemi a livello psicologico, perché se provi emozioni e non hai parole, diventi un represso. Non a caso aumentano i casi di bullismo nella vita reale perché i ragazzi sono sempre più aggressivi».
Ma la consapevolezza dell'ottusità ci libera dall'ottusità?
«Credo che valga il primo principio della psicanalisi: la persona che soffre di una patologia mentale nel momento in cui acquisisce consapevolezza ha già risolto più della metà del problema!».
Cosa si può fare per aiutare i ragazzi a ritrovarsi?
«Io realizzo molti progetti di educazione sentimentale nelle scuole e il punto è proprio questo: bisogna informare i ragazzi, spiegare, renderli consapevoli del mezzo che usano, perché le tecnologie sono un’invenzione rispetto alla quale non è stato previsto nessun tipo di educazione. Il cellulare e il computer gli vengono dati dalla più tenera età e se la devono cavare così. E anche alle superiori e all'università i pochi corsi che ci sono non si preoccupano di dare una visione critica del problema, insegnano solo a usarli, ma loro già lo sanno fare… In realtà noi dobbiamo insegnare che esiste una differenza tra vita reale e virtuale. Più ti servi della vita virtuale per compensare quella reale e più sarai un adulto incapace di vivere la vita reale».
Com’è la situazione in Italia?
«L'Italia è il Paese con il più alto livello di analfabetismo funzionale. Tre ragazzi su cinque non capiscono quello che leggono, secondo i dati Invalsi: non sanno rielaborare, non riescono a leggere più di dieci righe, che è la lunghezza che trovano in rete. C'è una cosa che bisogna sapere: il cervello è plastico, ma non elastico. Questo significa che si lascia modificare in tenera età, ma non torna alla dotazione originaria. Chi si disabitua a leggere i libri o non li legge, quando sarà adulto non potrà dire “ora leggo”, perché non ci riuscirà più. Non solo, a livello relazionale, i ragazzi non sanno più come allacciare un dialogo, rapporti profondi e spesso il piacere sessuale diventa un fatto vissuto solo singolarmente... È il paradosso della generazione più social mai esistita: l'iperconnessione li fa sentire soli, insicuri e inadeguati a vivere questa vita».
Che fare?
«Io applicherei la vecchia ricetta dell'educazione. I genitori devono re-imparare a fare i genitori e avere un ruolo autorevole, non autoritario. Questo significa che se i figli stanno due ore in rete, poi devono leggere per due ore un libro. Il punto è che i genitori oggi non hanno voglia di litigare e imporre la disciplina e soprattutto devono essere i primi a smettere di stare sempre sul cellulare. Perché il primo principio della pedagogia è che un buon esempio educa più di mille parole. E poi devono riscoprire la forza di fare i genitori e di essere figure che danno regole. Vanno bene il computer e il cellulare, ma si deve andare all'aria aperta a giocare con gli amici reali! Non è un caso che stanno aumentando i casi di obesità, non è un caso se i centri sportivi non hanno vivai perché i ragazzi pensano a giocare alla Playstation. Non è un caso se stanno comparendo malattie degli adulti tra i bambini (come il diabete o la pressione arteriosa). Detto questo non sono un proibizionista. Ma bisogna essere consapevoli. Solo questo ci può rendere liberi di scegliere».
L’urto del pensiero
Paolo Ercolani insegna filosofia all’Università di Urbino Carlo Bo. Scrive per varie testate, tra cui L’Espresso, e ha collaborato con Il Manifesto, MicroMega e La Lettura del Corriere della Sera. Cura il blog L’urto del pensiero e collabora con Rai Educational Filosofia. È autore di vari articoli e libri. L’ultimo è “Figli di un io minore” (Marsilio).
Senza connessione... è panico
Il 45% degli studenti passa su Internet almeno 5-6 ore al giorno, con picchi più alti tra chi ha meno di 19 anni. Si stima che l'utente medio controlli tra le 10 e le 20 volte all'ora, un check ogni 3 minuti, se gli sono arrivate, sullo smartphone o sul computer, nuove notifiche. Quando manca la connessione alla Rete, un intervistato su 5 dice di sentirsi a disagio. Uno su 3, quando finisce i gigabyte previsti dal proprio piano tariffario, entra nel panico e attende con ansia il rinnovo dell’abbonamento. Questo secondo una ricerca condotta da Skuola.net, Università Sapienza di Roma e Cattolica di Milano.
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