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Sotto l’albero, pop e film d’autoreDa Scampia al Boss che debutta al cinema, dal Mago di Oz ai PapiGio 05 Dic 2019 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
L’immortale
Genere: Crime
Regia: Marco D’Amore
Voto: 3,5/5
Marco D’Amore aveva già dimostrato nella serie televisiva di avere la stoffa del regista. Qui, però, si capisce che sa fare vero cinema, lo senti dalle scelte che prende - Giuseppe Aiello, ad esempio, baby attore di 11 anni dal talento e dalla presenza scenica sconcertanti - e dall’occhio che ha, al contempo fedele all’estetica della serie di cui è spin-off, ma anche profondamente indipendente e autoriale. La storia è radicata in una Campania ben poco felix, ferita dal terremoto, da un controllo capillare della criminalità sul territorio, da un Ciro Di Marzio che impara a soffrire e a sopravvivere, sempre, e che negli occhi ha quel fuoco cupo che non lo abbandonerà mai. Non è importante, dopo aver visto il film, chiedersi se davvero L’immortale l’ha scampata anche questa volta, se Sangue Blu neanche stavolta l’ha fatta giusta, perché in qualche modo, con il racconto intimo e potente di un personaggio cruciale nell’immaginario audiovisivo moderno - nel bene e nel male - si chiude un cerchio.
Non chiamatelo il film di Gomorra, perché è molto di più. E ora siamo curiosi di vedere Marco D’Amore fuori dalla comfort zone (si fa per dire) di Scampia e dintorni.
Il mistero Henri Pick
Genere: dramedy
Regia: Rémi Bezançon
Voto: 3,5/5
A volte basta poco, soprattutto al cinema francese. Perché a quel modo di raccontare per immagini e parole tutto transalpino, a quella commedia sofisticata e un po’ radical chic, a volte è sufficiente una sola pennellata originale per farsi amare. Come questo soggetto che parte dalla biblioteca di libri rifiutati, da Henry Pick pizzaiolo che aveva scritto un bestseller ma non lo sapeva, ma soprattutto a non saperlo erano moglie e figlia, stupite da un’anima romantica e sensibile che non avevano sospettato. E il futuro genero furioso, perché è uno scrittore fallito. Pardon, frustrato. Il resto è un omaggio alla letteratura - quanto ama il cinema francese dedicare film alla cultura, dal teatro alla letteratura - il solito Fabrice Luchini in forma smagliante, l’ironia seducente con cui l’editoria viene messa alla berlina e la parola diventa un gioiello prezioso da cullare, ma anche un mistero da svelare e sarcasmo sociale e intellettuale quando tutti vanno alla pizzeria del protagonista per farsi ispirare o portare il proprio improbabile capolavoro. Se vi piacciono certi ritmi, certe affettazioni, certi vezzi, godetevi un film che ha una sua elegante gradevolezza anche quando prende in giro tutti noi, che scriviamo più di quanto leggiamo.
Western Stars
Genere: documentario biopic
Regia: Bruce Springsteen
e Thom Zinny
Voto: 3,5/5
Avete presente la magia e il senso della prospettiva che permette a chiunque guardi La Gioconda di pensare che sì, stia guardando proprio te? Ecco, è la stessa sensazione che hai con il Boss, con Bruce Springsteen. Lo dimostra in questo concerto, film, storia d’amore col pubblico lunga 13 canzoni (l’album omonimo del titolo), soprattutto quando canta Drive Fast e guarda in camera. Non fai in tempo a pensare che è un’ingenuità registica, un’esagerazione, una scorciatoia emotiva che senti quello scatto, sei suo, senti che quell’accordo, quel pezzo, quello sguardo li sta facendo per te. Western stars non è il miglior film musicale fatto e forse neanche il migliore di quelli dedicati al Boss. Ma ha il pregio di farti capire come fa il Boss - il perché è impossibile, al di là dell’empatia naturale con le classi sociali più basse senza perdere appeal tra le più alte - a farti sentire speciale. A farti sentire parte di una comunità, di qualcosa che sia bello e abbia un senso più profondo (lo ha raccontato recentemente e giocosamente un bel film, Blinded by the light). Si sente quanto sia forte il legame tra Bruce e la sua gente, si ha l’impressione di capire e conoscere il mito, se ne intuisce la magia. E al suo primo film - e già, mai diretto né interpretato un lungometraggio, il nostro - ci fa capire che al cinema deve tanto, e viceversa (si pensi solo a Street of Philadelphia). More than life, il Boss, e More than cinema.
I due Papi
Genere: DRAMMA
Regia: fernando Meirelles
Voto: 3/5
Di Pontefici pensavamo di sapere abbastanza. Tra fiction tv Rai (e non solo), Paolo Sorrentino, il documentario di Daniele Luchetti su Bergoglio e tornando indietro il Papa recalcitrante Michel Piccoli per l’Habemus Papam di Nanni Moretti, eravamo convinti non ci fosse bisogno ancora di un racconto in proposito. Poi arriva Meirelles, famoso per City of God e The constant gardener, uno che ha aperto Cannes con Blindness e che ha una tendenza spiccata per il melodramma, così tanto da farsi prendere spesso, anzi sempre la mano. Anthony Hopkins e Jonathan Pryce interpretano Ratzinger e Bergoglio, Benedetto XVI e Papa Francesco, e raccontano diretti con inaspettata misura ma con ritmi da thriller politico (un po’ alla Frost/Nixon), il passaggio di consegne più discusso, famoso, spiazzante della modernità, quello che ha portato per la prima volta, un Pontefice, ad abdicare. E tutto nasce con il cardinale suo successore e critico più acceso che vuole lui, andarsene e ritirarsi. Ne nasce un confronto profondo, divertito, provocatorio che nella finzione cerca la verità. Anzi la Verità. Netflix sceglie chi sa mettere in scena, più di altri, sentimenti ed emozioni, anche sopra le righe, per un duello che si trasforma, forse, in amicizia. Il consiglio, però, è di vederlo in originale per apprezzare due attori clamorosi che correggono, con il loro talento, qualche semplificazione di troppo.
Judy
Genere: dramma
Regia: Rupert Goold
Voto: 2,5/5
Bella la biografia strappalacrime, bella e brava anche Renée Zellweger all’ennesima trasformazione fisica e cinematografica. Bella la musica, bello il racconto di una vita sempre sotto i riflettori. Tutto perfetto, tutto emozionante, tutto inesorabilmente finto. Il film di Rupert Goold ti affascina per il racconto della soave e determinata Dorothy del Mago di Oz vittima di un manager più padrone che padre e, crescendo, delle proprie fragilità e dei fallimenti sentimentali, che le lasciano dolore, debiti ma anche due figli che adora e per cui non smette mai di lottare. Non riusciamo mai, però, a uscire dalla perfezione patinata dei suoi film, dal melodramma esasperato ed esasperante, dall’abitudine un po’ secchiona della Zellweger di essere sin troppo imitativa e non di rado sopra le righe, soprattutto con la marcata espressività facciale (lei, che nella realtà la va perdendo causa troppi interventi di chirurgia estetica). Il risultato è una storia edificante sulle ombre del successo, sul viale del tramonto lastricato di cattivi contratti di una diva che per noi in realtà è rimasta sempre adolescente e splendente e invece ha avuto un lungo autunno, sulla sorellanza come aiuto fondamentale e la memoria come catarsi e consolazione.
I MAGNIFICI 7 IN SALA
Star Wars - L’ascesa di Skywalker: si parla ancora di tre possibili finali, su cui Lucas potrebbe avere l’ultima parola. Di una rimpatriata di attori delle tre trilogie. C’è J.J. Abrams. Festa grande.
L’immortale: “ma allora è vero, che non muore mai”. L’immortale torna, e non poteva essere altrimenti. Un Marco D’Amore in regia sorprendente e maturo, una storia sin troppo italiana.
Western Stars: qual è il segreto del successo del Boss? Difficile capirlo, figuriamoci spiegarlo. Ma la magia di Bruce Springsteen la senti addosso guardando questo documentario. Tutta.
Pinocchio: Garrone si prende la favola di Collodi che ha portato al fallimento molti suoi illustri colleghi e decide di riportarla alle sue origini, brutte, sporche e cattive. Con Benigni Geppetto.
Il mistero Henry Pick: ognuno di noi ha un libro nel cassetto. Così ben riposto che neanche le persone più vicine a te sanno che esiste. Anzi, neanche immaginano che tu l’abbia pensato.
I due Papi: Bergoglio e Ratzinger, Pryce e Hopkins, sacro e profano, Dio e Beatles. Il racconto del momento più difficile per la Chiesa Cattolica poteva raccontarlo solo l’autore di City of God, ovvio.
Judy: Judy Garland, la diva. Judy, la donna ferita. Judy la madre, la star in declino, la donna che incontra il suo quinto marito e non rinuncia a sé. La Zellweger in gran forma, forse persino troppo.
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