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Febbraio, il mese degli Oscar. E non solo

Storie autobiografiche, supereroi maledetti, un gruppo di amici sono la nuova meglio gioventù

Gio 30 Gen 2020 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
Foto di 5

Lontano Lontano

Genere: Commedia
Regia: Gianni Di Gregorio
Voto: 4 1/2

Un’amicizia matura, un cinema glocal che è ancorato a un quartiere - come sempre con questo regista -, una visione del mondo dolce e ruvida come quell’Ennio Fantastichini nel suo ultimo film, bravo in modo doloroso, quasi a volerti ricordare cosa ci siamo persi tutti con la sua prematura scomparsa. Siamo ancora a Trastevere, come agli esordi non più giovanili del suo cineasta, ma questa volta si sogna il Portogallo, le Azzorre dove persino le pensioni italiane sembrano belle. Ma alla fine nei film di Di Gregorio uscire dalle mura di Roma è già un’impresa impossibile e anche qui si rischia la stessa sorte. Ciò che affascina di questo film è che alla divertita e divertente favola rionale di tre vecchietti più o meno terribili (lo stesso di Gregorio, Fantastichini appunto e quel cavallo di razza di Giorgio Colangeli) si aggiunge un Roberto Herlitzka che fa una masterclass sui vantaggi della terza età all’estero e, in generale, un’ironica, ma accurata analisi socio-antropologica dei luoghi, ma anche della vita di un paese alla deriva, che non sa più occuparsi delle sue generazioni più fragili. Qui Di Gregorio sa raccontare tutto con grazia, usando l’indolenza romana, il velleitarismo dei capitolini, come motore di un cambiamento molto diverso da quello previsto. E così, forse, arriva al quarto film del buon Gianni la sua prova migliore.

 


Birds of Prey 
(e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn)

Genere: Action
Regia: Cathy Yan
Voto: 4

Film al femminile, ma non femminista. Opera all women, o quasi, ma non caricaturale e stereotipata come “Ocean’s 8” o “Le ragazze di Wall Street”. “Birds of Prey” prende le mosse dal discussissimo “Suicide Squad”, lavoro sottovalutato e maltrattato in cui però era brillata potente la stella di Harley Quinn, l’ennesima inquietante performance straordinaria di Margot Robbie, così bella che finiremo per dimenticarci quanto sia brava, eclettica, coraggiosa, una Meryl Streep moderna. Qui troviamo una donna lasciata dal suo grande amore, Joker, totalmente folle che si associa per combattere un altro folle con una serie di outcast, simboli dello spettro femminile meno archetipico. Ne esce fuori un film folle, divertente nella parte action e eccessivo ma affascinante nei dialoghi, diverso dal mainstream a cui siamo abituati, con una Robbie mattatrice. Un lungometraggio imperfetto ma vivace e vibrante, assurdamente divertente e squilibrato nei ritmi e con picchi di eccellenza e non poche cadute di stile. Esattamente come questa Quinn, una regina dark ma coloratissima, inevitabilmente irresistibile. Anche per la sua incapacità di essere normale.

 


Il ladro di giorni

Genere: Drammatico
Regia: Guido Lombardi 
Voto: 3

Riccardo Scamarcio, come in “Magari”, qui veste i panni di un padre incompleto, assente, ma che si ritrova, in questo caso per propria volontà - e soprattutto convenienza - , a riconquistare improvvisamente la propria paternità. Lo fa con la sensibilità e la forza vitale di Guido Lombardi, che esordì con il forte “Là-bas Educazione criminale” e poi tirò fuori un’opera di genere affascinante come “Take Five”, che ha scoperto la narrativa - “Non mi avrete mai”, “Teste matte” e appunto “Il ladro di giorni” - per poi ritrovare il cinema con quest’ultimo (che ne era l’origine, visto che come soggetto vinse il Premio Solinas), nella sintesi di un percorso personale che diventa universale. Il ladro di giorni trova una felicità di racconto proprio nella sua capacità di andare alla radice di un genere, in questo caso l’on the road, innestandolo in un altro classico del cinema (e non solo), il rapporto tra padre e figlio. Si concentra, Lombardi, su Scamarcio e Zazzaro, bella alchimia e gran talento, sulla sua capacità di evocazione visiva mista a un realismo impressionista (bravissima anche la direttrice della fotografia Daria D’Antonio), finendo però, nonostante fosse già un libro, per non trovare una quadratura nella sceneggiatura, trovando un problema a rendere credibile ciò che nella parola scritta sembrava verosimile. E cadendo nel finale scontato, dove trovi un’iniziazione quasi crudele alla vita. Anzi, cruda.

 


Gli anni più belli

Genere: Drammatico
Regia: Gabriele Muccino
Voto: 3

Paolo, Giulio, Gemma, Riccardo. Quattro moschettieri lungo 40 anni della loro storia e della storia del nostro paese, nell’ossessione mucciniana - mutuata dalla commedia all’italiana di Ettore Scola - di indagare le famiglie. Quelle che ti scegli e quelle che subisci, quelle degli amici (da “L’ultimo bacio” fino a questo “Gli anni più belli”) a quelle che si ritrovano sempre intrappolate - in una casa, in una vita che non vogliono, in un’isola - dove non vorrebbero. Qui il “C’eravamo tanto amati” di Gabriele Muccino cerca di raccontarci anni finora spesso ignorati dal cinema italiano, una generazione di interpreti (a Favino e Santamaria, “figli” suoi, si aggiunge Kim Rossi Stuart, ricostruendo il trio di “Romanzo Criminale” che consacrò tutti e tre), una nuova tecnologia - la stessa che ha ringiovanito Pacino e De Niro in “The Irishman” - e la voglia di avere ambizione di una Settima Arte che in Italia è sempre andata a una marcia più compassata di quella di questo cineasta che continua a girare benissimo, ma forse questa volta si incaglia su un lavoro che è inevitabilmente macchinoso e faticosamente credibile nei salti temporali. Detto questo a livello emotivo e di liguaggio cinematografico continua ad avere notevoli guizzi e l’impressione è che sarebbe potuto essere un grande prodotto seriale piuttosto che un film incompiuto.

 


Magari 

Genere: melodramma
Regia: Ginevra Elkann
Voto: 2 1/2

È uno strano oggetto cinematografico “Magari”. Un film non del tutto riuscito, ma vitale. Un’opera autobiografica in modo sfacciato ma al contempo universale per quanto racchiuda in sé i vari spettri della disfunzionalità di una famiglia. Può sembrare caotico e confuso probabilmente è solo naive, può apparire fuori ritmo e probabilmente ne ha solo uno suo. Magari racconta gli Elkann, anche se non lo denuncia apertamente, quando non erano ancora la famiglia più potente d’Italia. E lo fa alla maniera con cui dalle parti degli Agnelli e dintorni preferiscono raccontarsi: da bambini, da giovani, da quando vestivano alla marinara e l’innocenza non era intaccata dal privilegio, o quando almeno era solo un gioco. E si poteva preferire Sabaudia a Courmayeur. La Elkann ci racconta un padre sbagliato (Scamarcio), la sua fidanzata (Rohrwacher) dei figli sballottati - davvero bravi - da un amore finito, da una madre disorientata e da un padre egoista ed egocentrico. La Elkann lo fa con tenerezza, umorismo, vezzosa eleganza, qualche battuta a vuoto. Magari non è un capolavoro, ma si sa far voler bene. 


 


I MAGNIFICI 7 IN SALA


Lontano Lontano: tre vecchietti trasteverini, tre precarietà della terza età, il sogno di fuggire in Portogallo e una realtà fatta di espedienti, indolenza, velleitarismo e ironia. Opera irresistibile.

Birds of prey: Margot Robbie è la Meryl Streep della sua generazione, ma è troppo bella e sexy perché glielo si riconosca. Così si imbruttisce in Tonya e impazzisce qui. Ed è ancora più brava.

Il ladro di giorni: Un padre bastardo, un figlio perduto e ritrovato, un on the road tra genere ed emozioni, un finale controverso. Guido Lombardi è così, naive, visivamente potente, empatico.

Gli anni più belli: Muccino ama ampliare il concetto di famiglia alla maniera di Ettore Scola, ma con pianti, urla, corse e adrenalina. Ecco il suo C’eravamo tanto amati, sui nostri ultimi 40 anni.

Magari: Ginevra Elkann produce film belli, d’autore, eleganti, originali. Inevitabilmente non poteva che raccontarsi, quando vestiva alla marinara, con grazia e ironia. Film confuso ma felice.

Bad Boys for life: Tornano insieme Martin Lawrence e Will Smith per il terzo capitolo di una saga riuscita, divertente e scorretta. Il primo è ora ispettore, il secondo è in piena crisi di mezza età.

Cats: opera di rara bruttezza, fin dall’antropomorfizzazione dei gatti che è tragicamente inquietante e involontariamente comica. Tom Hooper, che di talento ne ha, qui chiede troppo a se stesso. 

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