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Un’Italia di genere sboccia a primavera

Questo mese abbiamo scelto solo film italiani, opere originali e potenti come raramente troviamo

Ven 28 Feb 2020 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
Foto di 5

La volta buona
Genere: Dramma
Regia: Vincenzo Marra
Voto: 4,5/5

Film sul calcio se ne fanno pochi e quasi sempre male. Difficile capire perché: se da una parte la sovraesposizione televisiva di questo sport rende complicatissimo ai cinematografari metterlo in scena, sempre superati dalla realtà ripresa da più telecamere ad alta definizione, è difficile però comprendere il motivo per cui l’universalità delle storie che popolano questo universo spettacolare e scalcagnato non riescano a sfondare sul grande schermo. Potrebbe cambiare le carte in tavola l’ennesimo gioiello di Vincenzo Marra, che narra di una storia esemplare, quella di un procuratore che è arrivato ai 60 anni e ha l’ossessione di trovare il nuovo Messi, dopo una carriera mai decollata. Un ottimo Ghini - all’altezza dei suoi grandi inizi d’autore - impersona una delle figure più ambigue e devastanti del football con sensibilità impietosa, con la capacità di andare alla radice del proprio dolore e dei propri errori, così come Max Tortora - ultimamente al cinema non sbaglia un ruolo, anzi una battuta - è un miserabile che fotografa perfettamente la fauna bastarda e squallida del calcio. La volta buona è un film neorealista d'altri tempi, è il racconto di mostri alla Risi che vivono il presente e di un ragazzino uruguaiano che può insegnarti dignità e speranza, amore e riscatto con un solo sguardo. Marra si conferma uno dei migliori, troppo sottovalutato, come i campioni che decidono di non seguire soldi e fama, ma maglia e coerenza. Un estraneo alla massa, parafrasando il titolo di uno dei suoi documentari più belli.

 


Ritorno al crimine
Genere: commedia
Regia: Massimiliano Bruno
Voto:4/5

Un sequel necessario, un po’ perché l’ottimo “Non ci resta che il crimine” aveva la carica di una commedia briosa e originale, ma anche il ritmo e l'agilità di una prima puntata lunga di una serie di successo, un po’ perché il soggetto si presta a una saga che dia così agli interpreti e il regista la possibilità di esprimere tutto il loro valore. A Leo - a cui, di fronte a un Ninetto Davoli che gliene parla, spetta la mitica battuta “Francesco Totti, ma chi cazzo è?”, perché il nostro che fa De Pedis viene dal 1982 e non sa ancora dei due scudetti successivi della Roma -, Giallini, Gassman, Tognazzi e lo stesso Bruno, regista sempre più maturo e completo (qui ottime anche le scene più di genere, sparatorie comprese), si aggiungono un Buccirosso come al solito impeccabile e una Giulia Bevilacqua più brava che bella (e quando vedrete il film, capirete quanto sia stata brava). Rispetto al primo capitolo c'è più heist movie e la commedia è più organica all’azione, così che ci ritroviamo non solo di fronte a un film altro, ma che verrà comunque molto amato da chi già conosce il primo, ma anche a una grammatica cinematografica diversa. Di fronte a tanti sequel “alimentari” (necessari a registi e produttori e distributori per raccoglier soldi), qui ci troviamo di fronte al potenziale passo di una nuova saga, o serie televisiva, che ormai ha un suo pantheon e una sua continuity.

 


Il talento del calabrone
Genere: thriller
Regia: Giacomo Cimini 
Voto: 3,5/5

A proposito di lungometraggi di genere, Cimini qui fa proprio un film all'americana. Un dj famoso, un terrorista geniale e ossessivo, una splendida e caparbia detective, un clima di tensione che viene alimentato dalla narrazione, dal soggetto stesso. E se pure in alcuni momenti senti che attori - soprattutto Richelmy, che ha la sfida più difficile, ma tiene botta - e regista rincorrono la loro idea senza riuscire sempre a tenerle testa, ma senza neanche mai soccomberle, “Il talento del calabrone” risulta un ottimo esperimento di cinema altro e possibile in Italia, sia popolare che d’autore (e non a caso ha nel cast due cavalli di razza capaci di farsi amare nell'uno e nell'altro, Sergio Castellitto e Anna Foglietta), che in caso di successo potrebbe aprire le porte anche ad altre visioni di questo tipo. Cimini sa padroneggiare scene di scuola (peccato ci abbia messo così tanto a tornare al lungometraggio), Castellitto è un cattivo affascinante, tutto si gioca sulla credibilità di storia e personaggi, sempre sul filo. Una notte fatta di parole e minacce, di onomatopee e di sfide mentali, di scatole cinesi e trappole, di scene ambiziose e portate a casa più o meno con successo. 

 


Ultras
Genere: Dramma
Regia: Francesco Lettieri
Voto: 3,5/5

Il capo degli Apache, gruppo Ultras del Napoli tra i più in vista, riceve un Daspo. E questo lo costringe, alle soglie dei cinquanta anni a confrontarsi con la vita, quella fuori dallo stadio, dagli scontri, dal campionato di calcio. Lo costringe a capire chi sia Terry, bella, tosta e coraggiosa, e se valga la pena strappare il suo codice d’onore e provare a dare una svolta alla propria esistenza. C’è un ragazzo che lo vede come un mito e il cui futuro è appeso a un filo che arriva fino a quel leader che ammira. Lettieri, il re dei videoclip dell’indie italiano, esordisce alla regia cinematografica grazie a Netflix (l’uscita evento nelle sale sarà dal 9 all’11 marzo) con un’opera non facile: si pensi che la galassia del tifo estremo ed organizzato, prima di lui, in un film di finzione in Italia l’aveva affrontato solo Ricky Tognazzi in Ultrà con un’opera cult e discussa. Qui lui ci mette la sua estetica carica e il suo talento visivo abbagliante, a volte romanza troppo, ma riesce ad aprire una porta su un mondo che ostinatamente rimane sempre ai margini della società e dell’immaginario collettivo e che vive di regole e riferimenti totalmente propri e autonomi. Una comunità chiusa, ma solidale, sede di contraddizioni immense e sentimenti deflagranti. 

 


Il delitto Mattarella
Genere: dramma
Regia: Aurelio Grimaldi
Voto: 3/5

Siamo così abituati a lavori elaborati e complessi che ci dimentichiamo, a volte, che una storia può (e forse deve) essere semplice e lineare. Quella dell’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello del nostro attuale Presidente della Repubblica, che avvenne il giorno dell’Epifania del 1980, anno orribile (le stragi di Ustica e Bologna avvengono nell’estate immediatamente successiva), è una di quelle vicende che hanno bisogno del cinema civile di una volta, capace di andare dritto al punto, di fare nomi e cognomi, di raccontare scenari senza paure e senza reticenze. Grimaldi, mestierante d'alto profilo, capace di arrivare al pubblico con efficacia ed eleganza ci propone un lungometraggio senza guizzi estetici, ma con tanto coraggio etico, si mette al servizio di una delle storie di mafia e della Prima Repubblica più atroci e indegne - il cineasta è bravissimo nel tratteggiare l'universo politico dei fiancheggiatori della criminalità organizzata all'interno del partito di Mattarella - e ci porta in quella Sicilia e in quell’epoca con grande forza. Un’opera, la sua, che potrebbe essere figlia di decenni fa, di Rosi e i suoi fratelli, con attori di valore seppur non con nomi altisonanti. 

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