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Hillary Clinton: Girl powerQualunque sia il vostro orientamento politico, è innegabile l’influenza di Hillary Clinton negli equilibri internazionali. E chissà che non diventi il primo Presidente donna degli Stati Uniti d’AmericaLun 27 Apr 2020 | di Alessandra De Tommasi | Interviste Esclusive
Che siate schierati a destra, sinistra o al centro poco importa. E non è neppure necessario essere d’accordo con le idee di Hillary Clinton, politiche o meno, per poterne apprezzare l’acume. Perspicace e brillante, fa parte di quella categoria di persone che ascolteresti per ore. Non attacca per difendersi, non offende per vigliaccheria e non tergiversa sulle questioni spinose. È proprio questo uno dei maggiori pregi del documentario che ne racconta vita, opere e pensiero, “Hillary”. Diretto da Nanette Burstein, non mira all’imparzialità – perché nessuno ha la presunzione di possedere la verità –, ma almeno non si censura, chiedendo all’ex Segretario di Stato di tutto, inclusa l’infedeltà del marito Bill con l’allora assistente Monica Lewinsky.
Perché ha deciso di raccontare la sua vita solo ora? Eppure non è attualmente in corsa per nessun ruolo.
«Motivo in più per guardare al futuro con la giusta prospettiva. Ha avuto senso per parlare di tutto e non solo delle scelte facili».
Come si spiega che la sua popolarità sale quando non scende in campo per una carica pubblica? «Sono popolare quando servo la visione di qualcun altro, come è successo per Barack Obama: in pratica andava bene se mi facevo portavoce di un uomo. Poter servire il Paese è stato un privilegio, eppure nel momento stesso in cui mi sono presentata per me stessa sono diventata oggetto di un doppio standard di valutazione».
Succede a tutti i pionieri. «Qualcuno deve pur aprire la strada per chi viene dopo, no? È stato affascinante guardare il viaggio non come qualcosa di personale, ma un percorso che riguardava tante donne. Ed è così che sono iniziate le critiche e la diffamazione, per creare una dissonanza cognitiva verso una donna in lizza per la Presidenza».
Si considera femminista? «È importante ascoltare le voci delle donne, soprattutto in storie non raccontate, per raggiungere quel famoso 50%. L’altra sera ero con Ruth Bader Ginsburg, una delle quattro donne nella storia della Corte Suprema, che ha abbattuto le barriere in ambito legale nei confronti dell’universo femminile. Stiamo parlando di tempi in cui una donna non poteva neppure avere una carta di credito a suo nome. Non si tratta di chiedere più diritti, ma pretendere uguali diritti».
A cosa è dovuto questo? «Spesso ad una serie di pregiudizi inconsci, di cui ti rendi conto ancora di più quando sei sotto i riflettori. Se una donna è entusiasta le viene detto che si comporta da isterica, cosa di cui un uomo non è accusato mai. Fino a poco tempo fa non esisteva un direttore donna di una filarmonica perché si diceva che non siamo pronti ad un passo del genere, ma poi quando sono state fatte delle audizioni “al buio”, ossia senza vedere il candidato, ci si è resi conto che i più bravi erano donne. Ecco come inizia il cambiamento».
Rimpianti? «La mia migliore amica dai tempi delle elementari voleva a tutti i costi lasciare la propria testimonianza del documentario, anche se stava morendo di cancro. E l’ha fatto, ma purtroppo non ha vissuto abbastanza da vedere il risultato finale. Quel tipo di amore e affetto ha reso le mie battaglie possibili, anche nell’occhio del ciclone. È cruciale creare uno spazio condiviso dove sentirsi al sicuro e onesti gli uni con gli altri».
Un argomento delle sue campagne particolarmente controverso? «Ho lottato per un sistema sanitario disponibile per tutti, cosa che sembra strana in Europa e in Canada, ma negli Stati Uniti è un argomento spinoso. Trump non mi ha attaccato sui temi politici, ma è andato sul personale. Allora la battaglia culturale che stiamo combattendo è contro chi vuole portare indietro le lancette dell’orologio dei diritti delle donne o degli omosessuali. Per non parlare degli immigrati, che vengono guardati come il nemico. Quando invece di intavolare un dibattito si fa leva sulla paura e le recriminazioni, allora si agisce solo incolpando gli altri».
Quindi? «È cruciale unire le nostre forze culturali per contrastare le posizioni che si basano sull’esclusione, su energia negativa. Basti pensare che solo due democratici, Clinton e Obama, hanno avuto due mandati presidenziali. Il successo di un leader sta nella certezza di poter diventare migliori e inclusivi, con una visione ottimista e pratica che usa ogni mezzo per progredire».
Cosa ne pensa della condanna di Harvey Weinstein? «Il verdetto parla da solo, la gente voleva che prendesse responsabilità delle sue azioni ed è successo».
Quale vorrebbe fosse la sua eredità? «Non ci ho mai pensato, preferisco concentrarmi su quello che posso ancora realizzare, come affrontare i cambiamenti climatici, mandare Trump in pensione e offrire, appunto, l’assistenza sanitaria per tutti».
Chi vorrebbe come prossimo Presidente? «Di sicuro so chi non vorrei, quello attuale».
Perché? «Il suo governo incoraggia leader autoritari e insulti politici e se la prende con chi è di un’altra religione, etnia oppure orientamento sessuale. Fa il forte con i deboli e siccome la gente segue il suo modello, è una seria minaccia per la democrazia».
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