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In attesa della scuolaIl repentino adattamento dei nostri figli ai cambiamentiMar 26 Mag 2020 | di Lucrezia L. | Genitori&Figli
Ragazzi, tutti promossi con un bel 10 in allenamento alla quarantena. E pensare che ci eravamo chiusi nelle nostre case preoccupati di quanto avrebbero sofferto i nostri figli. E invece ad andare fuori di testa siamo stati noi grandi. Loro del resto erano già digitali, già connessi attraverso mille rami social, abituati a parlarsi in cuffia mentre videogiocano, soprattutto a non avvertire la differenza che c'è tra vita digitale e vita analogica, carnale.
I nostri videoaperitivi con gli amici? Come si dice a Roma, una caciara. Ci siamo presentati in videoconferenza con il mondo arruffati e incerti, pronti a parlare gli uni sugli altri, a mostrare cose di noi che mai mostreremmo live e soprattutto a farlo per un impacciato errore. Che ci facevano quei panni sporchi sullo sfondo? E quel vaso con i cipollotti di tropea perché ci è sembrato un panorama accettabile? Loro, i ragazzi, interattivi, sempre pronti a usare strumenti che noi nemmeno capiamo a fondo, i più fortunati assistiti da lezioni a distanza che sono diventati subito una consuetudine.
Hanno imparato a barare sui compiti digitali in trenta secondi, mentre gli insegnanti si affannavano a inventarsi sistemi per sorvegliarli. E mentre noi recitavamo retorici elogi della lentezza, loro cliccavano sul computer e mandavano le lezioni del prof a velocità aumentata, pari a una volta e mezza quella naturale. “Di più no, sennò si sente male”, ridacchiano. Ma mica è colpa loro se vivono in un mondo che ha l'acceleratore pigiato, dai videogiochi alle serie tv.
Io in quarantena mi sono riguardata puntate di vecchie serie, “Il Tenente Colombo”, La Signora in giallo”, e mi sono scoperta rassicurata dalla lentezza di quei gesti, dalla morbida scorrevolezza di trame senza fretta, senza ansia, che di ansia ce n'era tanta già fuori.
Intanto i nostri figli vincevano a mani basse il campionato di quarantena. è bastato far scattare in loro il meccanismo dell'impegno attivo, dell'arruolamento nella crociata contro il male e sono diventati immediatamente degli intrepidi paladini anti virus. Hanno messo i loro corpi frenetici in stand by, trasferito totalmente nel virtuale il gioco delle amicizie e perfino cominciato a guardarmi storto a ogni uscita non necessaria: “Mamma, perché esci a buttare il vetro? Sono solo due bottiglie, aspetta di accumulare un po' più di spazzatura”.
E appena è scoccato il gong del ritorno in strada, velocissimi sono tornati alla vita, hanno recuperato perfino la precedente incoscienza, soddisfatti dalla sensazione di aver combattuto e vinto la battaglia contro il male (sempre che nel frattempo non sia tornato).
Unica nota stonata, a parte la nostra insofferenza di adulti strappati alle nostre routine e rinchiusi con severi guardiani adolescenti, è la scuola. Pare davvero che sarà l'ultima istituzione a riaprire, non restituendo esattamente ai ragazzi un senso di centralità. Finirà che agli studenti sarà restituito un po' del tempo di libertà rubato dalla quarantena e la scuola apparirà loro sempre più vecchia e inutile, nonostante il generoso tentativo di restare loro a fianco nelle avventure digitali della primitiva didattica a distanza improvvisata per il virus. O magari chissà, si metterà a correre a 1,5 volte la vecchia velocità.
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