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La mia cucina? E' ‘cibosa’!Federio Valicenti: nessun effetto speciale nella sua cucina, ma piatti che abbiano una storiaGio 27 Ago 2020 | di Nicola Molise | Interviste Esclusive
La sua cucina si basa sulla parola «cibosità», che vuol dire raccontare un territorio attraverso il cibo. «Mi interessa la topicità», dice Federico Valicenti, che nel 1981 ha creato il ristorante “Luna Rossa” a Terranova del Pollino, in Basilicata. È nella Guida Michelin tra i “Bib Gourmand” e ha ricevuto molti riconoscimenti anche dal Gambero Rosso, da Slow Food, Touring Club.
Cosa le interessa della cucina?
«Vivo in una regione con una straordinaria ricchezza gastronomica e amo vestirmi da antropologo per cercare i cibi e le ricette antichi, molti dei quali sono legati alle feste dei santi. Durante quella di San Biagio, per esempio, si mangiano le alici fritte, perché il santo aveva tolto una lisca del pesce dalla gola di un bambino. E così tutte le altre tradizioni vengono da un motivo lontano che mi piace riscoprire per andare all’origine di quel piatto».
La variazione del menu dipende dai suoi studi?
«Sì, a me non piace rincorrere la cucina del dopoguerra. O, per dire, servire le polpette. Quelle si possono fare a casa. Penso invece ai piatti arcaici, carichi di simbolismo».
A settembre inizierà un nuovo progetto nel Castello di Metaponto.
«Sarebbe già dovuto partire, ma la pandemia ha dilatato i tempi. Sto creando una scuola di cucina, con un teatro della cibosofia, anche perché il cibo non è solo quello che mangiamo, ma anche arte, storia, filosofia».
Quali altre conseguenze ha portato la chiusura?
«Credo che la pagheremo ancora di più. Appena è terminato il lockdown, le persone hanno liberato la propria voglia di uscire di casa, di ritrovare la natura e di vivere di nuovo, in un’esplosione di necessità dopo essere rimaste chiuse a lungo nelle loro abitazioni. Penso che tutto questo andrà scemando, forse anche in base alle economie che non sono esattamente floride, ma spero anche di sbagliarmi».
Ha notato un aumento dei clienti rispetto al solito?
«Alla riapertura ce ne sono stati più degli altri anni nello stesso periodo. Ne sono contento, soprattutto perché chi viene da “Luna Rossa” sceglie di raggiungere un luogo a mille metri d’altezza, isolato. Non ci capita per caso. E va bene così. Non ho mai sperato nemmeno che in questa zona arrivassero gli autobus turistici pieni di persone. Questi luoghi devono conservare la lentezza, lo slow-life che li caratterizza. La Basilicata per fortuna è ancora tutto questo e chi la sceglie desidera calarsi in un’altra dimensione».
Aprire un ristorante a Terranova del Pollino è stata una scommessa?
«Sì, di molti anni fa. Ma a me piace la progettazione sul territorio e ne sono estremamente contento. Chi vuole fare tanti soldi con la ristorazione non può sposare la mia idea, che invece è quella della creazione della cultura attraverso il cibo; dello studio continuo che parte e torna in un paese così piccolo, lontano e caratteristico».
Ha ricevuto molti premi.
«Ne sono felice. I riconoscimenti fanno piacere. Per un po’ di tempo ammetto di aver guardato in continuazione se ero stato inserito nelle guide enogastronomiche e in che modo. Poi mi sono accorto che stavo diventando vittima di un mio sistema psicologico che portava necessariamente a dei condizionamenti. Ho scelto allora di cambiare sguardo e di rivolgerlo nuovamente su me stesso. Non mi interessa preparare piatti ad effetto e nemmeno cucina casereccia, ma del cibo che abbia una storia, con la mia rivisitazione».
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