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Il cinema (forse) non è morto. Per ora

Tornano i film in sala, e con loro la speranza di una rinascita. Dipende soprattutto da noi

Gio 27 Ago 2020 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
Foto di 5

EMA
Genere:  Dramma
Regia: Pablo Larrain
Voto: 4,5/5

Pablo Larrain è forse il miglior regista vivente, di sicuro è un autore che ha rivoluzionato, riscritto, condizionato il cinema contemporaneo, partendo da quel Cile che nello scorso secolo ha ospitato l’orrore di una dittatura infame, ma anche la bellezza di un’esperienza incredibile come quella che univa, tra politica e cultura, tra società e arte, Salvador Allende e Pablo Neruda. Indagando il lato oscuro del suo paese attraverso uomini e donne e momenti estremi, cambiando sempre linguaggio cinematografico, ha portato spettatori e addetti ai lavori dove neanche immaginavano. Con “Ema”, non il più bello dei suoi film, ma il più coraggioso e immaginifico, aumenta la posta della sua costante scommessa artistica e creativa, raccontando - con il solito Gael Garcia Bernal, ma soprattutto con la sorprendente, irresistibile Mariana di Girolamo - una storia feroce d’amore e bisogno, di un’adozione voluta e rifiutata, di un matrimonio in fiamme per troppo amore, di un’eroina fatta di desiderio totale e corpo (danzante), di un dramma familiare che diventa manipolazione estrema, il tutto in una messa in scena che è radicalmente diversa dalle precedenti di questo maestro, improntata più alla musica, alla coreografia, in alcuni momenti al ritmo e la visione dei videoclip che alla visione nuda, scarna delle opere passate. Se proprio qualcosa può avvicinarsi, come esempio di rottura rispetto agli schemi narrativi e visivi passati, propri e altrui, quello è Tony Manero: “Ema” è un film più sexy, mentre quello è più cattivo, ma hanno entrambi la caratteristica di essere la cartina di tornasole di un disagio collettivo attraverso la coerenza disperata e tragica di due antieroi. Larrain se non ci fosse dovrebbero inventarlo.

 


IL GRANDE PASSO
Genere:  commedia
Regia:  Antonio Padovan
Voto: 4/5

Che Padovan avesse talento, lo avevamo capito col bizzarro, dolce, riuscito “Finché c’è prosecco c’è speranza”, uno di quei film a cui non daresti alcun credito e che poi, lì, davanti allo schermo ti conquista con il suo incedere sicuro, gentile, divertente. Con “Il grande passo” continua in questa sua commedia sognante e sofisticata, usando uno stratagemma narrativo a tratti e altrove abusato (due fratelli che si riuniscono dopo anni, entrambi figli dello stesso padre, ma con madri diverse) per poi andare altrove. Sulla Luna precisamente, perché Dario è un ingegnere spaziale fallito, ma geniale, che ha un sogno. E non accetta un no, come risposta, tanto che Mario dovrà salvarlo dopo che un suo tentativo di lancio verso il satellite si traduce in danni a proprietà del vicino. Nato, “Il grande passo”, come un gioco (mettere insieme due cavalli di razza come Fresi e Battiston, che tanti troppi confondono, pur non somigliandosi), è un’opera lievemente seria, con quel tocco di Padovan che sembra sempre prenderti in giro, ma con classe. Potremmo definirla commedia all’italiana, ma l’opera è troppo innamorata, giustamente, dei suoi protagonisti per emularne cinismo e analisi lucida della mediocrità italiana, qui i due protagonisti sono invece due campioni che per idealismo e ingenuità si stagliano oltre gli altri, anche se il mondo cane e infame non sa riconoscere la loro grandezza. Padovan non ha paura di essere buono e non diventa mai buonista, non teme i sentimenti positivi, li usa e li inserisce in una scrittura che se nel ritmo è altalenante, in alcuni dialoghi è irresistibile. Il risultato è una doppia prova d’attore che viene valorizzata (vale anche per i comprimari, uno su tutti il mitico Vitaliano Trevisan), ricambiata, da una regia matura e interessante. Con un cineasta che cresce e ci darà tante soddisfazioni.

 


MISS MARX
Genere: Biopic
Regia: Susanna Nicchiarelli
Voto: 3,5/5

Il cinema italiano prima ancora che di capolavori, ha bisogno di grandi registi, autori che sappiano uscire dal nostro provincialismo e sappiano guardare oltre e altrove. Susanna Nicchiarelli è una di loro, capace di cadute rovinose (“La scoperta dell’alba”), di un ottimo anche se acerbo esordio (“Cosmonauta”, che però è invecchiato bene) e di un gioiello, un lavoro di rara potenza come “Nico 1988” dove, probabilmente, ha trovato il suo linguaggio, il suo sguardo. Ora sul biopic che diventa ritratto di un genere e magari di una generazione, ha messo su il bel progetto internazionale “Miss Marx”, dedicato a Eleonor, la più piccola delle figlie del padre del comunismo. Ne indaga la precocità, la passione politica, la gentilezza determinata, il carisma da leader di lotte fondanti e fondamentali, ma anche la fragilità di donna, di innamorata, la capacità di farsi travolgere anche quando sa che perderà, in entrambe le sfere. Nicchiarelli sa raccontarcela con dolcezza e passione, ridandole la luce che la storia le aveva tolto, di fatto dimenticandosela. La rende invece umana, attualissima, non la mostra come icona, ma come una donna complessa e completa, senza risparmiarle una tragica ironia ed edulcorarne le debolezze.

 


UNA INTIMA CONVINZIONE
Genere: dramma 
Regia: Antoine Raimbault
Voto: 3,5/5

Un esordio, affascinante, una storia vera. Un uomo accusato di femminicidio, di uxoricidio, Jacques Viguier. Il corpo della moglie 38enne mai ritrovato, l’amante di lei che accusa il marito con tenacia e capziosità. Un caso tuttora noto in Francia come fenomeno mediatico e giuridico, con tanto di libro dell’imputato poi assolto dal titolo eloquente, Innocente. Antoine Raimbault esordisce nel lungometraggio di finzione con un tema che conosce - la giustizia, nei suoi meccanismi più perversi -, ma con una storia difficilissima e che tratta con grande cura. Nora - personaggio di fantasia, utile allo spettatore per capire, sentire la storia - trascura figlio e lavoro pur di aiutare uno sconosciuto, Viguier appunto, dopo aver assistito al suo processo. Ha “l’intima convinzione” che sia innocente. Convince allora un principe del foro (interpretato dal solito superlativo Olivier Gourmet) a difenderlo, a patto che sia lei a sbobinare gli interrogatori fluviali del grande accusatore. Diventa così memoria storica ed emotiva del caso, mentre noi assistiamo a ciò che è oggi la giustizia, di come siano stati sovvertiti grandi valori fondamentali, come la presunzione d’innocenza abbia capitolato a favore di un tribunale mediatico fazioso, opportunista e implacabile (come già visto con Eastwood in Richard Jewell). E non sfigura il buon Raimbault con il suo moderno caso Dreyfus, di cui non ha il coté politico razziale, ma piuttosto la dimostrazione di quanto sia manipolabile il nostro sistema e pericolosi gli accusatori troppo motivati.

 


IL GIORNO SBAGLIATO
Genere: thriller 
Regia: Derrick Borte
Voto: 2,5/5

Se il conducente è incazzato nero, non lo guardare neanche. Non gli rivolgere la parola. Figuriamoci suonargli. Perché la sua vendetta potrebbe essere implacabile. Se in “Duel” la vittima si sta ancora chiedendo chi e perché lo torturasse per strada, in quel camion, in “Un giorno di ordinaria follia” ce la si poteva aspettare quella reazione stragista, in “Cemento armato”, il bello e sottovalutato thriller di Marco Martani, tutto nasceva da uno specchietto rotto a Giorgio Faletti per un gioco stupido. Qui basta un colpo di clacson per far partire un Russel Crowe non proprio in forma (fisica, come attore c’è ancora) e innaffiare col sangue l’onta della strombazzata. Può succedere a tutti, la scritta sul manifesto americano, e su questa facile immedesimazione si basa un’opera che non ha grosse sbavature - anche se ormai il protagonista sembra un ex - ma neanche guizzi. Di pazzi in burn out che decidono di reagire ai mali del (proprio) mondo ammazzando qualcuno ne abbiamo visti tanti e inevitabilmente per rimanerci impressi devono stupirci. Qui, semplicemente, non succede. Ma per una fine estate in cui si cerca qualche certezza, può andar bene comunque.

 


I MAGNIFICI 7 (in sala)

Ema: Pablo Larrain è il migliore di tutti. Qui indaga sesso e opportunismi, identità di genere e amori che fanno giri enormi e poi vengono manipolati. Ema è l’antieroina di un punk melò.

Easy Living: un’opera che racconta tre ragazzi che vogliono fare la cosa giusta, salvare un essere umano, dargli un’altra opportunità. Storia d’immigrazione che farebbe bene vedere a chi decide.

Il grande passo: la luna non è così lontana, se a cercarla c’è la strana coppia Fresi-Battiston. Padovan non sbaglia il colpo dopo “Finché c’è prosecco c’è speranza” e ora è una bella realtà.

Miss Marx: A Susanna Nicchiarelli il coraggio non manca, proprio come a Eleanor Marx, l’ultimogenita di Karl. Come in Nico 1988, la regista racconta il dolore e il talento. Alla grande.

La piazza della mia città - Bologna e Lo Stato Sociale: documentario su una band che ha terremotato Sanremo, partendo dalla piazza più iconica della (loro) città. C’è pure Gianni Morandi!

Un’intima convinzione: colpevole o innocente? Domanda retorica ormai, perché quando anche il tribunale ti libera dall’onta di una falsa accusa, arriva il circo mediatico a condannarti. Gran film.

Il giorno sbagliato: Russel Crowe non può più recitare, non deve farci dimenticare le sue interpretazioni più belle. Ma qui alla fine se la cava, forse perché è in un thriller classico.

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