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Jessica Alba: Ora comando io!Jessica Alba torna nello showbusiness con la serie “L.A.’s finest”, ma la sua priorità resta la famiglia. È per i tre figli, infatti, che ha creato un’azienda ecosostenibileGio 27 Ago 2020 | di Alessandra De Tommasi | Interviste Esclusive
Il tono di voce di Jessica Alba è come una melodia. Pacata, dolce e gentile, l’attrice simbolo degli Anni Duemila ha davvero trovato un equilibrio invidiabile. Non si è lasciata travolgere dalla fama raggiunta da teenager, anzi ha mantenuto i piedi ben radicati per terra. Da tempo si erano perse le sue tracce, ma per un’ottima ragione: da quando ha avuto i tre figli si è trasformata in imprenditrice, ha fondato un’azienda bio, The Honest Company, e si è concentrata sulla famiglia. Rivederla in tv – prossimamente anche in Italia dopo la premiere mondiale al Festival della TV di Monte-Carlo – con la nuova serie “L.A.’s finest” (lo spin-off di “Bad Boys”) è come ritrovare un’amica d’infanzia, s’instaura subito un legame rassicurante di familiarità. Alla vigilia dei quaranta, Jessica Alba dà la stessa impressione anche dal vivo: non ama i gioielli, gli abiti sofisticati e il trucco pesante, mentre ha un debole per il look da ragazza della porta accanto, perché è così che si sente e vive tutti i giorni.
A guardarla si direbbe che ha trovato il segreto dell’eterna serenità d’animo. È così? Cosa le sta particolarmente a cuore?
«Le battaglie per l’uguaglianza. Solo nella diversità ci può essere crescita, progresso e futuro e occorre dar voce a chi finora non l’ha avuta».
È per questo che ha scelto una serie tutta al femminile come “L.A.’s finest”? «Precisamente. Per l’85% le sceneggiatrici che lavorano alla serie sono giovani donne di colore, che spero facciano da apripista a tante colleghe che non hanno voce. Quasi tutte le registe sono donne e davanti e dietro la macchina da presa c’è spazio per ogni minoranza».
Quindi sarà stato facilissimo convincerla ad abbracciare il progetto. «Assolutamente il contrario: oramai sono diventata molto selettiva, perché il tempo che passo lontano dalla mia famiglia abbia un valore. Non accetto lavori tanto per tenermi occupata, ho già il mio ben da fare con The Honor Company che oggi ha oltre 2000 impiegati e richiede una devozione enorme, oltre a diventare a volte fonte di grande stress. Questa parentesi tv l’ho vissuta come una pausa di leggerezza, ma portata avanti con intelligenza e mi ha dato quel respiro di cui avevo bisogno».
Quindi non è vero che le donne non sanno fare squadra? «Le donne sanno benissimo come fare lavoro di squadra, ma si devono fidare. Io ho la fortuna di avere una partner eccellente, Gabrielle Union, sempre pronta a fare il tifo per te e sorridere. Il mio personaggio è una matrigna e si basa proprio sulla sua esperienza di vita. Sono felice di prestarle il volto, perché non è un ruolo in famiglia a cui viene dato grande spazio, a parte i vari pregiudizi».
Anche lei è una tipa divertente? «Più che altro sono una buffa, che ha abbracciato i propri limiti e ha imparato a godersi le piccole cose, perché non sai quando ti verranno portate via».
Cosa l’ha spinta verso la serie? «L’idea di sorellanza che si sviluppa per tutta la storia. Ed è realistica: quando una persona ti vede al peggio di te, diciamo alle 4 del mattino sotto la pioggia durante un ciak, allora sai che ti ci puoi fidare, perché abbraccia tutto quello che sei».
Non sembra apprezzare il divismo di Hollywood. «Per niente. Sono a disagio con la gente che si prende sempre troppo sul serio, come quei colleghi a cui cerchi di rivolgere una parola durante una pausa dalle riprese, ma ti rimbalzano dicendoti di non disturbarli perché “sono nel personaggio”. A me piacciono le persone autentiche, come Gabrielle, che si prendono a cuore le cause sociali, che si danno da fare per accogliere gli altri e lottano per l’inclusività».
Racconti simili, soprattutto al femminile, non se ne vedono tanti in giro. «Spesso le donne che vediamo al cinema e in TV sono interscambiabili, tutte uguali, piatte, una specie di soprammobile o spalla dei ruoli maschili. Io non ci sto, è la diversità che ci arricchisce e non a caso “L.A.’s finest” negli Stati Uniti è stato usato per il lancio di un network nuovo, Spectrum, e tutto al femminile. È un passo avanti verso il progresso ed è necessario come il racconto di queste due donne detective».
Si considera un’ottimista? «Lo sono per natura e credo fermamente che un buon esempio possa fare la differenza. Finora Hollywood si è girato dall’altra parte, ma ora non è più possibile. Le donne sono pronte a reclamare i diritti che spettano loro».
Come ha imparato questi valori? «Sono cresciuta nella periferia di Los Angeles tra etnie diverse, con comunità che si amalgamano tra loro pur essendo tanto diverse, come la coreana con la messicana. Per me casa vuol dire proprio questo. E cibo, ovviamente, infatti sono una buona forchetta soprattutto per il fusion, convintissima che attorno alla tavola i problemi si ridimensionano».
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