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Il filo d’oro di LeoLeo ha la sindrome di Charge: con la lega del filo d’oro qualcosa è cambiato...Lun 28 Set 2020 | di Servizio di Emanuele Tirelli | Attualità
Sta in piedi sul gommone, tenendosi anche alla corda a prua. «Senza i canali semicircolari e l’apparato vestibolare, non dovrebbe poter stare in piedi, in equilibrio. Leonardo ha cinque anni ed è un bambino sereno, sicuro di sé, curioso, che non ha paura degli estranei». Elisa è sua madre, vive in provincia di Firenze con suo marito e con il loro figlio maggiore, più grande di tre anni e mezzo. E naturalmente con Leonardo, che ha la sindrome di Charge, vale a dire che non sente, vede da un solo occhio, ha la tracheotomia per respirare e viene alimentato con la siringa o tramite il sondino.
Com’è cambiata la vostra vita?
«È stato uno scossone, sia per noi che per nostro figlio maggiore, che all’inizio ha dovuto fare a meno di me, perché ero sempre in ospedale. Quando ce l’hanno comunicato abbiamo pianto, ci siamo disperati, ma un attimo dopo abbiamo cercato di capire come poter affrontare tutto questo. Siamo camperisti, andiamo sul gommone; mio marito fa pesca d’apnea, d’inverno siamo sulla neve: lo facevamo prima e abbiamo continuato a farlo con Leonardo. Cerchiamo di guardare ai problemi, ma anche alle soluzioni».
Quanto è importante per la crescita di Leonardo?
«Secondo noi gli giova molto, perché è un bambino penalizzato sotto certi punti di vista e ha bisogno di respirare quello che c’è intorno, di fare più esperienze possibili. Ed è importante per nostro figlio Lapo, perché entrambi devono vivere senza rinunciare a nulla. Ovviamente lo è anche per noi genitori e ci permette di fare quello che ci è sempre piaciuto, che ci rende felici».
E dal punto di vista dell’assistenza?
«Se parliamo di quella ospedaliera, non abbiamo mai avuto grandi problemi nelle strutture in cui siamo andati, in molte regioni d’Italia. Se parliamo invece di assistenza vera e propria, tocchiamo un tasto dolente. Noi siamo a Firenze e Leonardo non ha mai avuto nemmeno un’ora di assistenza al mese. Se abitassimo nel Lazio, avrebbe diritto a dodici ore al giorno per tutto l’anno. Ho ripreso a lavorare dopo cinque anni, sfruttando tutti i congedi possibili, perché dovevo occuparmi di lui. Se guardiamo alla fisioterapia, alla logopedia e alla psicomotricità, abbiamo molto poco e ci siamo organizzati quasi sempre da soli. Il sostegno economico che ricevo dallo Stato in qualità di caregiver di mio figlio è poca cosa rispetto a tutte le necessità».
La Lega del Filo d’Oro è stata una scoperta importante?
«Guardavo le loro pubblicità in televisione già prima che nascesse Leonardo e rivolgerci a loro è stato un passaggio decisivo. Lì ci sono persone che conoscono molto bene le sue problematiche, che ti danno la sensazione di essere a casa, di interessarsi davvero al bambino. Ti aiutano a tirare fuori il meglio e le sue potenzialità. Ci siamo arrivati quando aveva un anno. Eravamo reduci da continui ricoveri e ospedalizzazioni, e io stessa vedevo Leonardo soprattutto sotto l’aspetto delle cure mediche. Quando abbiamo contattato la Lega del Filo d’Oro, mi hanno chiesto quali fossero i suoi giochi preferiti: non lo sapevo perché eravamo concentrati su altro. Così è cambiata anche la nostra visione. Ci hanno dato delle indicazioni e degli spunti per gestire la quotidianità, per stimolarlo pure dal punto di vista ludico, che non è un aspetto secondario».
Spesso la sofferenza porta a chiudersi.
«Non abbiamo mai avuto intenzione di nascondere la condizione di nostro figlio. Nessuno della nostra famiglia l’ha mai fatto. Non c’è niente di cui vergognarsi e siamo estremamente orgogliosi di quello che fa Leonardo, delle sue conquiste nonostante le complicazioni e le difficoltà oggettive. Mentre siamo al parco, o al mare, o in montagna, mentre viviamo la nostra vita come tutti, a volte la gente ci guarda come se fossimo degli alieni, ma non ci interessa. Facciamo quello che serve a Leo e a Lapo. Credo che la serenità di Leo sia dovuta proprio al fatto di aver sempre vissuto come un bambino normale».
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