acquaesapone TV/Cinema
Interviste Esclusive Viaggi Editoriale Inchieste Io Giornalista TV/Cinema A&S SPORT Zona Stabile Rubriche Libri Speciale Cannes

Quanto ci piace il cinema “de genere”

Da Venezia, e non solo, si torna al genere, dalla commedia al noir. E si (ri)trovano nuovi e vecchi talenti

Lun 28 Set 2020 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
Foto di 5

I predatori

Genere:  dramma
Regia: Pietro Castellitto
Voto: 4,5/5

Quando meno te lo aspetti, da chi meno te lo aspetti. Perché è una feroce commedia o un ironico dramma, “I predatori”, sugli orgogli ridicoli e i pregiudizi, su due famiglie di Ostia che si dividono per classe, cultura e politica, perché dentro ci trovi Monicelli e Virzì, ma anche le stralunate famiglie di Festen o di certo cinema indipendente americano. Pietro Castellitto stupisce con ogni parte della sua prova e si merita la sezione Orizzonti a Venezia. Da regista, che con consapevolezza mette in scena uomini e donne tragicomici e sceglie inquadrature coraggiose e a volte urticanti, perché da esordiente ha già uno stile preciso. Forse c’è qualcosa del grottesco pieno di empatia del padre Sergio, della capacità di quest’ultimo di raccontare sentimenti e relazioni, come della madre Margaret Mazzantini la mancanza di paura di metter mano a ciò che preferiamo non vedere, di noi e degli altri. Già, perché Pietro questo film se l’è anche scritto e ha pure scelto per sé la parte di Federico, un ruolo delicato e acuto, fragile e irresistibile. I “Predatori” a volte va fuori giri e per un’opera prima è normale, ma è uno dei film più freschi, meglio pensati e intelligenti degli ultimi anni. E ora l’impressione è che da sponde (ed età) diverse i fratelli D’Innocenzo, Pietro Castellitto, coetanei, e il più maturo Mauro Mancini (regista dello splendido “Non odiare”) stiano costruendo una nouvelle vague che finalmente spariglia le carte della nostra Settima Arte, per forma e contenuti. Ah, la canzone di compleanno trap per la nonna è fantastica!

 


Un divano a Tunisi
Genere: commedia
Regia: Manele Labidi
Voto: 4/5

Se fossimo meno provinciali, sapremmo che Golshifteh Farahani è una diva mondiale e che quel viso così profondo, intelligente, mutevole come la sua espressività e i suoi registi interpretativi, è un buon motivo per andare a vedere un film, tanto quanto Charlize Theron o Vanessa Kirby. Se poi mette al servizio il suo talento per un’opera come “Un divano a Tunisi”, che decide di mettere sul lettino di un’analista un paese, con levità e acume, riuscendo a raccontare la storia di un ritorno che diventa da subito il confrontarsi con tradizione e modernità. L’intuizione di Manele Labidi Labbé è quella di “In Treatment” - scegliere casi umani rappresentativi di una nazione che esce da un’epoca di repressione e un’altra di rivoluzione -, ma la declina incedendo sul sorriso, sul racconto leggero, sulla ricerca di contraddizioni e sì, della comicità insita in ogni nostra debolezza, non avendo paura della malinconia e della riflessione. E così più che un ritratto esce un affresco, un mosaico, molto colorato e a tratti caricaturale, ma che nel suo complesso e complessità, e senza trascurare delle meravigliose scene oniriche, sa restituire una Tunisia imprevedibile e finalmente moderna. Con tanti archetipi e nessuno stereotipo.

 


Trash
Genere: animazione
Regia: Luca Della Grotta, Francesco Dafano
Voto: 3,5/5

A volte la scelta più facile è quella giusta, la storia migliore è quella più semplice. Della Grotta e Dafano capiscono che forse, ai bambini e ai loro genitori, serve guardare e ascoltare una favola moderna sui rifiuti, vedere il mondo dall’altra parte del cassonetto per empatizzare con la cosiddetta “monnezza”. Penserete che chi scrive sia impazzito, ma se vuoi davvero formare ed educare qualcuno, devi emozionarlo. Sì, anche con la storia di una scatola di cartone rovinata e di una bibita di una bevanda gassata che cercano (in realtà uno dei due è troppo schiacciato dalla paura di sfuggire ai Risucchiatori e dal disincanto per crederci) la Piramide magica, un luogo in cui i rifiuti hanno una seconda possibilità. Perché un concetto come quello del riciclo, forse, non riesce a essere abbastanza affascinante e immediato senza la delicatezza di un racconto che si sforza di farci sorridere, di accarezzarci il cuore e di andare a pescare nel nostro immaginario (sì, è il fratello minore di Wall E, ma non è certo un difetto) per aiutarci a crescere generazioni più rispettose e consapevoli. Degli oggetti, che anche se buttati sono stati utili e vanno rispettati finché possono avere un posto nel mondo e anche dopo, quando troveranno un secondo utilizzo. Perché la metà oscura del consumismo, quella che puzza e che finisce sulle nostre strade, noi fingiamo di ignorarla, pur essendone la causa primaria. Ecco perché è bello e utile questo romanzo di (tras)formazione.

 


Lasciami andare
Genere: thriller
Regia: Stefano Mordini
Voto: 3/5

Il cinema di genere in Italia sta vivendo una nuova primavera da qualche anno, anche se in molti fanno finta di non vederla. Si ha più coraggio - soprattutto gli attori, guardate Stefano Accorsi che senza rete si lancia in ruoli che restituisce con una potenza rara - e a volte succede che, nonostante l’ottimo soggetto e un cast ben fatto, una sceneggiatura discontinua ma interessante, il film non riesca a trovare il giusto respiro. Forse per quei ritratti femminili che non sfruttano a dovere l’enorme talento a disposizione (Serena Rossi, Maya Sansa, Valeria Golino, Antonia Truppo), forse perché Mordini non ha ancora deciso quanto il suo cinema voglia essere d’autore e quanto invece più incline all’intrattenimento e al noir o forse l’ha capito, ma non sa ancora bilanciare bene le due cose. Il pregio dell’opera è trattare con un certo rigore il genere, senza facili effetti, e un’accuratezza particolare nel tratteggiare il protagonista anche grazie a un Accorsi che si tiene in equilibrio tra la storia e un lutto inaccettabile che ne è alla base. Il difetto è nella mancanza di profondità di sentimenti e vicende che incontra e vive... Ma è comunque una ghost story come dalle nostre parti non se ne vedevano da un po’

 


Lacci
Genere: Dramma
Regia: Daniele Luchetti
Voto: 2,5/5

C’è qualcosa di dolcissimo e durissimo nella capacità, quasi autobiografica, dell’ultimo Daniele Luchetti di disegnare ritratti familiari romantici e ruvidi, dolorosi e senza (pre)giudizi. “Lacci”, forse per l’ingombrante libro di Domenico Starnone da cui è tratto, è un’opera che non sempre trova ritmo e visione giusti, ma che ha dentro di sé una verità insopportabile, quella che la coppia, l’amore, la vita sono troppo dure per non far male a qualcuno. Anzi, a tutti. Il racconto di 40 anni di Aldo e Vanda che fugge qualsiasi retorica sentimentalista per indagare all’interno di una coppia al di sopra di ogni sospetto, di quelle che stanno insieme una vita senza imparare davvero a conoscersi, più che i lacci, narra dei nodi, difficili o impossibili da sciogliere, che gli errori altrui e nostri lasciano nelle esistenze di tutti. Aldo è troppo debole ed egoista e Vanda troppo pragmatica e sensibile? Oppure lui ha il coraggio che lei non ha? Non è importante sia che li vedi impersonati, giovani, da Lo Cascio e Rohrwacher o alla fine da Orlando e Morante. “Lacci” non trova una forza narrativa, ma solo interpretativa, gode di uno sguardo registico implacabile perché non fazioso, ma che appena esce dalla claustrofobia di case e rapporti si indebolisce. E sono tre film in uno, di cui solo uno davvero riuscito.

 


I MAGNIFICI 7 (ONLINE)

I predatori: Pietro Castellitto ha un gran talento, che pensavamo essersi perso in una precocità e pressioni eccessive. Ha ritrovato da solo la strada e ora scopriamo un regista coraggioso e dotato.

Un divano a Tunisi: impossibile non innamorarsi della diva Farahani, di una Tunisia ferita e in ricostruzione, di archetipi umani di un In Treatment comico e tenero. Film da vedere e vivere.

Mi chiamo Francesco Totti: ancora Pietro Castellitto, qui attore diretto da Alex Infascelli, alle prese con un ruolo difficilissimo, il Capitano per eccellenza. Se passa questa, è tutto in discesa.

Trash: l’animazione non è solo i capolavori raffinati della Pixar, ma anche questo film semplice e immediato che non si inventa nulla, ma ci ricorda che riciclare è fondamentale e sì, pure poetico.

Lasciami andare: Stefano Accorsi in questa parte della carriera si sceglie ruoli di genere che ne valorizzano esperienza e talento, peccato che il resto del film non gli vada dietro come meriterebbe.

Divorzio a Las Vegas: non è vero che ciò che succede a Vegas, rimane a Vegas. Soprattutto quando dopo una notte da leoni ti ci sposi. Delogu e Morelli, coppia adorabile, ce lo dimostrano.

Lacci: Daniele Luchetti è un regista che merita sempre di essere guardato, ora che racconta l’abisso della famiglia italiana anche di più. Non perfetto il matrimonio con il libro di Starnone, però.

Condividi su:
Galleria Immagini