Melodramma mon amour
Coppola, Mann, Almodovar, Guadagnino e le loro opere (im)perfette
Ven 06 Nov 2009 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
Un mese che vede maestri del calibro di Francis Ford Coppola, Michael Mann e Pedro Almodovar già promette bene. Se poi si gettano, in maniera completamente diversa e forse complementare, in quel genere dimenticato che è il melodramma (familiare, criminale o artistico e sentimentale), incuriosisce. Eppure a rapirci non sono le loro opere, incomplete e imperfette, ma quel talento purissimo e finora discontinuo che è Luca Guadagnino. Con il melodramma più bello e completo.
Io sono l’amore
Un film trappola. Di Guadagnino certo non si può dire che è uno a cui piace vincere facile, ma gettarsi in una famiglia dell’aristocrazia borghese milanese anacronistica e snob, in un melodramma viscontiano con echi da tragedia greca dalle sfumature nordeuropee era davvero una sfida apparentemente impossibile. Nessun aggancio con la realtà, poca voglia di cercare una chiave metaforica, Guadagnino voleva una storia familiare e di classe, un melò epico ed etico, un film che sfidasse i canoni moderni, apparendo comunque profondamente nuovo. Fotografia perfetta, scrittura d’alto livello, attori al meglio della loro forma - dalla coppia Tilda Swinton-Pippo Del Bono all’erede Flavio Parenti e al patron Gabriele Ferzetti - e un regista che non cerca mai scorciatoie visive e narrative (anzi), grazie a tutto questo scopriamo la forza dirompente dell’amore in tutti i suoi aspetti. E il premio Oscar e attrice feticcio di Guadagnino, madre, moglie, amante e gran signora dell’alta società, ne è il fulcro appassionato e disperato. Un film ambizioso che ha le stimmate del capolavoro e ci ricorda cos’era l’Italia rimpianta del passato: un mondo ipocrita e diviso in classi, una famiglia patriarcale e soffocante, una galassia di regole barocche e crudeli. Guadagnino doveva fare il salto di qualità. Ce l’ha fatta.
Tetro - Segreti di famiglia
Se state leggendo queste righe, sappiate che questa non è una recensione, ma una lettera d’amore. Chi scrive pensa che nella sua top 20 di tutti i tempi almeno 7 film di Francis Ford Coppola meritino un posto in classifica. Un innamorato deluso che ha amato i primi 40 minuti del visionario disastro “Un’altra giovinezza”, un adepto che ha apprezzato frammenti di “Tetro” (in Italia “Segreti di famiglia”), testamento artistico della grandezza di un maestro e allo stesso tempo testimonianza del suo enorme talento, nonostante tutto. Questo film è il suo più personale, l’orgogliosa dichiarazione d’indipendenza di chi ora non è più schiavo di Hollywood, un tributo alla sua famiglia creativa e tumultuosa. Vincent Gallo è Tetro, rampollo della famiglia Tetrocini fuggito da un ménage familiare e da un padre grande e terribile, il giovane Alden Ehrenreich il fratello minore che lo va a cercare, per ritrovare anche se stesso e il suo, loro passato. Conflitti irrisolti, talenti nascosti e rinnegati, una storia potente che diventa confusa e sconclusionata, con scene straordinarie e lunghe risacche di noia e imperfezione. Coppola non sa (e forse non vuole) più sfornare i capolavori grandiosi di un tempo; il suo, ormai, è flusso di coscienza intellettuale, cinematografico ed emotivo. Impossibile non vederlo, difficile non rimanere delusi. Ma è pur sempre sua maestà Francis Ford.
Nemico pubblico
Briganti dal pugno di ferro, il cuore a volte d’oro e altre di pietra, fragili e invincibili. Eroi con la pistola in pugno e la vita costantemente giocata al tavolo da poker della vita, negli ultimi anni il cinema li sta riscoprendo, anche grazie a grandi attori (Pitt- Jesse James, Cassel- Mesrine e altri). Michael Mann, con digitale e Johnny Depp, prova a rispolverare Dillinger. Ne esce fuori un biopic in cui a brillare è la bellezza di Marion Cotillard, viso buffo e malinconico, più dell’epica western di un fuorilegge troppo moderno, forse, persino oggi. Uno che sapeva piangere e sparare, sacrificarsi e sparire. Mann si getta nel film con un eccessivo estetismo calligrafico, pur con una storia straordinaria per le mani e un interprete straordinario si impelaga in un’opera che stenta spesso, non appassiona e non cattura. Racconta una vita spericolata nei suoi tempi morti (e si sa che il cinema è invece la vita senza essi), ma con alcuni sprazzi di grande cinema. E ci lascia un sapore agrodolce.
Gli abbracci spezzati
Almodovar è invecchiato, ha tradito se stesso, si è rimbambito. Oppure… Pedro è grande, qualsiasi cosa faccia. Pochi altri cineasti hanno un rapporto con la critica e il pubblico tanto tormentato e radicale. Lui ha rivoluzionato costumi e cinema della Spagna post-franchista, ha liberato il suo paese dalla cupezza della dittatura. E, invecchiando, ha accettato la sua, metabolizzandola e intenerendosi. A noi piacciono entrambi gli Almodovar e per questo l’ultimo lavoro presentato a Cannes ci disorienta. Una sempre ottima Penelope Cruz qui è musa, vittima, carnefice, anima oscura e magnifico e diabolico corpo. Il film è un inno al cinema e alla donna, un melodramma enigmatico che viaggia sul binario parallelo di una storia archetipica (lui, lei e l’altro, l’amore come inevitabile fonte d’infelicità) e di una metafora artistica. Troppo. E così Pedro rimane con un simulacro di film in mano, lento, impacciato, pretenzioso. E in ogni scena si sentono le potenzialità di un film che non decolla mai.
Colonne sonore
Spazio alla musica per il cinema. Tre consigli in poche righe: la partitura epica e giocosa di Inglorious Basterds, il solito capolavoro di Tarantino che sceglie brani e musiche da urlo. Tanto Morricone ma anche un gustoso David Bowie, da collezionare. In quella di “500 giorni insieme”, invece, ci sono chicche moderne. Si trovano i cult Belle e Sebastien, la voce del compianto Patrick Swayze in una hit di Dirty Dancing e un mix audace e riuscito che va dai Pixies a Simon & Garfunkel passando per i Clash. Infine Scarlett Johansson che dimostra di non essere solo la pacioccona più sexy del dopoguerra, ma anche una bella voce: con Pete Yorn sforna un cd gradevole e pop. Il loro “Break Up” ti accompagna con delicatezza e talento, con melodie romantiche e deliziose. Scarlett passa un altro esame dopo il precedente album di cover di Tom Waits. Musica per le nostre orecchie cinefile.
I fantastici 4 (in DVD)
Mostri contro alieni: 3 edizioni diverse (blu-ray, disco doppio o singolo), un episodio aggiuntivo al film, extra da urlo. Quando il cinema ti entra davvero in salotto
Colonne sonore: Inglorious basterds ha i grandi maestri, 500 giorni insieme (film graziosissimo) la musica indipendente. Anche l’orecchio vuole la sua parte
Negli occhi: Vittorio Mezzogiorno, un grande dimenticato (spesso anche in vita). Lo rivediamo con la figlia Giovanna, una coppia di bravi registi, i suoi compagni di strada
Louise Michel: il film più anarchico, grottesco, sincero sulla precarietà e il lavoro negato. In un mondo in cui il lavoro uccide, un’opera da vedere e amare. Ottimi gli extra
I magnifici 7 (in sala)
Io sono l’amore: Guadagnino ci regala una storia d’amore, dolore, passione e disperazione. Difficile e bellissima
L’uomo che fissa le capre: Heslov (ri)legge Ronson e le sue Capre di guerra (libro edito da Arcana, imperdibile). Geniale. Clooney, Bridges, McGregor e Spacey
fanno il resto
Gli abbracci rotti: Almodovar prova a costruire il film perfetto per l’attrice perfetta. Esercizio di stile soporifero
Alza la testa: Castellitto preso a pugni dalla vita, vuole insegnare al figlio a metterla ko. Mai fidarsi di un pugile suonato
Mar Piccolo: Taranto, l’Ilva, il quartiere Paolo VI. Il cinema civile e delicato di Di Robilant. Gioventù bruciata, dal nostro egoismo
Segreti di famiglia: Coppola da un po’ fa film per sé e non per il pubblico. Peccato, ma d’altronde ci ha già dato tanto
Nemico pubblico: Mann e Dillinger, al maestro piacciono i fuorilegge. E ogni tanto li segue dimenticandosi dei suoi film
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