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George Clooney: La pandemia mi ha insegnato la gentilezzaGeorge Clooney dalla sua casa di Los Angeles ci racconta del nuovo film “The Midnight Sky” a dicembre su NetflixGio 26 Nov 2020 | di Giulia Imperiale | Interviste Esclusive
George Clooney perde raramente il sorriso e la pazienza. Disponibile, divertente e spigliato, non si tira mai indietro davanti a nessuna domanda. È così che appare, in piena pandemia, dalla sua villa statunitense di Los Angeles (“finalmente oggi faccio qualcosa di diverso – dice – ormai sono bloccato qui, senza potermi muovere”) per raccontare alla stampa il film “The Midnight Sky”, dal 23 dicembre su Netflix. Succede in collegamento dal BFI, il Festival di Londra, e sembra al massimo della forma, tra battute sagaci e aneddoti di carriera. In un impeccabile completo grigio di taglio sartoriale, su una spaziosa poltrona del cinema privato, è come se valutasse la sua vita alla luce della maturità e alla vigilia dei 60 anni (li compie il prossimo maggio).
Le manca il Lago di Garda e la sua dimora italiana? Cosa le piace, oggi, del nuovo George?
«La capacità di essere serio, ma senza prendermi troppo sul serio. È pericoloso pensare di avere tutte le risposte, meglio imparare a non rifare gli stessi errori».
Anche nei suoi ruoli si prende abbastanza in giro, è così?
«Assolutamente: ricordo ancora quando mi è stato portato fino in Italia il copione di “Tra le nuvole”, dove interpreto appunto uno che ha una certa immagine pubblica e non si vuole sposare. Ho capito che mi veniva chiesto di giocare con il mio “personaggio” e mi ci sono buttato, come ho sempre fatto».
Che tipo di progetti cerca? «Quelli che intrattengono il pubblico senza fare prediche, ma con uno spessore. E lo dice uno come me cresciuto con i film Anni Sessanta e Settanta e che con gli amici consumava i film degli Anni Quaranta, quando si facevano anche film sociali e incisivi su temi cruciali».
Non ci tiene a fare ruoli da duro a tutti i costi, vero? «Prendi “Paradiso amaro”: oltre ad essere stato girato alle Hawaii, il che non guasta, mi ha permesso ancora una volta di giocare con l’idea di mascolinità che qui viene sradicata proprio nella mia figura di uomo in ciabatte. Non ha bisogno di dimostrare la forza a tutti i costi, anzi sfoggia una certa sensibilità e fragilità e questo non lo rende meno uomo, anzi, sembra più umano».
Cosa la porta alla regia? «Ho iniziato a pensarci fin dai tempi della tv, per focalizzarmi su quello che davvero mi stava a cuore, con tematiche importanti, come ad esempio il potere della stampa».
E in “The Midnight Sky”? «Ho deciso di dirigerlo e non solo di recitarvi perché è intimo e riguarda il tema della redenzione. Anche se mia moglie Amal è stata molto più contenta a fine riprese, quando finalmente ho rasato quella barba lunghissima».
Come ha fatto il salto dal piccolo al grande schermo? «All’epoca di “E.R.” era qualcosa d’impensabile perché la tv non era considerata allo stesso livello del cinema e io con “Batman & Robin” ho rischiato la credibilità, non stava funzionando granchè. Mi ha salvato “Out of sight”, che mi ha regalato autorevolezza e ha fatto la differenza».
Quando pensa alla sua carriera cosa prova? «Sono uno con una carriera decente, direi persino interessante, con successi e fallimenti, ma non mi sono mai distinto in un genere in particolare, come l’eroe action oppure il comico per eccellenza. Questa mancata eccellenza in un certo campo mi ha regalato una libertà di movimento e di sperimentazione senza precedenti».
Qual è la lezione più grande che le ha insegnato la pandemia? «La gentilezza: il valore più importante e, di questi tempi, fondamentale».
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