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Laura Pausini: in nomination (forse) agli OscarHa venduto 70 milioni di copie, ha vinto 180 Dischi di Platino e nel 2020 su Spotify è stata la più ascoltata al mondo! E pensare che il suo primo contratto...Mer 30 Dic 2020 | di Nadia Afragola | Interviste Esclusive
Il 2020 è stato un anno da record per Laura Pausini. L’abbiamo incontrata per parlare di “Io sì (Seen)”, la original song, registrata in 5 lingue diverse, per “La Vita Davanti A Sé”, il film di Edoardo Ponti che segna il ritorno alle scene di Sophia Loren dopo 10 anni di assenza e sancisce la prima collaborazione di Laura Pausini con Diane Warren.
Ci racconta gli albori di questa collaborazione? Non è la prima volta che partecipa alla colonna sonora di un film. Perché questo è diverso?
«Nel 1999 ho preso parte alla produzione di un brano, “One more time”, che faceva parte della colonna sonora del film “Message in a bottle” di Kevin Costner. Ma fu qualcosa di diverso. Con il brano “Io sì”, mi sono messa a disposizione e non mi era mai successo prima. Mi sono sentita complice, parte attiva di un progetto a cui stavo dando tutto quello che avevo. Abbiamo passato settimane a tradurre il testo, è stato complesso perché normalmente quando scrivo parto da testi molto istintivi che riguardano la mia vita e i miei pensieri. In questo caso volevo rispettare il significato del film ed anche il momento nel quale questa canzone arrivava».
Una trasposizione che accompagna il film in tutto il mondo. «Motivo di orgoglio non da poco. Intanto perché rendere un brano inglese in italiano non è semplice in termini di musicalità della lingua stessa. Il testo ha una valenza assoluta, era il focus di tutto il progetto. Lo abbiamo riscritto più che tradotto, insieme a Niccolò Agliardi. La mia voce era la voce narrante di un preciso momento. In tutto il mondo ascolteranno e vedranno l’Italia, perché è stato girato a Bari».
Che rapporto ha con Sophia Loren? «Ci siamo conosciute nel 2003 in occasione di una festa organizzata da Giorgio Armani. L’empatia è scattata subito. E ad ogni incontro il nostro rapporto è diventato più profondo. Ricordo un episodio in cui, durante le prove per un concerto di Phill Collins, abbiamo trascorso ore a parlare di ogni cosa. È una donna italiana che ci rappresenta tutte, è materna, protettiva. E il modo in cui fa qualunque cosa, come muove gli occhi, come gesticola, come parla, è quello di un’icona, di un mito. È difficile da spiegare, ma è gigante in ogni suo atteggiamento. È precisa, esatta. È pazzesca. L’ho perfino sentita cantare il pezzo…».
Nel brano c’è un dialogo tra due persone. Cosa racconta? «L’abbandono e la solitudine dal punto di vista di un bambino senegalese di 12 anni ed una donna, sopravvissuta all’Olocausto che si prende cura dei figli delle prostitute. In questo film passa il messaggio che essere unici non significa arrivare per primi, ma aver raggiunto un equilibrio ed una libertà tali da poter fare ciò che vuoi senza limiti».
Cosa significa essere forse in nomination agli Oscar del 2021? «Negli anni ho imparato a gestire queste improvvise situazioni di nomination. Per carattere ho bisogno di pensare che non vincerò, altrimenti si alzano troppo le aspettative, mi autoconvinco, così se non vengo premiata non ci resto troppo male».
La canzone “Io si” anticipa l’uscita di un nuovo album? «No. Quello che abbiamo prodotto è un EP con tutte le versioni del brano in altre lingue oltre l’italiano. Inglese, francese, spagnolo, portoghese. Ho pensato che fosse bellissimo che in tutto il mondo sentissero la canzone in italiano. Ma ho ritenuto necessario che le persone avessero la possibilità di capire a fondo il significato delle parole, ascoltandole nella loro lingua».
Donne e musica. A che punto siamo? «Da quando ho vinto Sanremo nel 1993 in poi ho visto continuamente disparità di trattamento. Il mio primo contratto prevedeva il 4% di incassi e se non avessi raggiunto le 50.000 copie il contratto sarebbe stato rescisso. Nello stesso anno, un ragazzo che non aveva vinto Sanremo, firmava un contratto per 4 dischi, con l’8% di guadagni sugli incassi. Nonostante ciò, penso che spesso si parli troppo della questione. Non mi piace essere troppo femminista in ambito lavorativo, preferisco la meritocrazia e dimostrare ogni giorno quel che valgo».
E quando le disparità sfociano in violenza? «Diverso è quando si parla di violenza, sia essa fisica o psicologica. Lì non ci sono mezze misure. Ed è un tema caldo, soprattutto in periodi di lockdown. Insieme a tante mie colleghe abbiamo creato un progetto, che si chiama “Una. Nessuna. Centomila”. È un concerto che avrebbe dovuto svolgersi a settembre, ma a causa del Covid è stato rimandato al 26 giugno 2021. Avevamo venduto 86.000 biglietti. I proventi saranno destinati ai centri e alle organizzazioni che sostengono e supportano le vittime di violenza».
Oggi più che mai abbiamo bisogno dell’arte e di eccellenze italiane come lei e Sofia Loren. «Preferisco non sentirmi un’icona. È una cosa che mi fa perdere la concentrazione. La cosa più importante che abbiamo, soprattutto ora, è l’arte in genere. Durante il lockdown è lì che cercavamo ristoro, in un libro, in un film o nella musica. È lì che ci rifugiamo in carenza di emotività e di positività. È verso l’arte che tendiamo quando abbiamo bisogno di svagarci, di piangere o di sorridere. È una cosa che fa parte dell’essere umano e non è pensabile trascurarla o perderla».
Se potessimo dipingere la musica in questo momento, probabilmente raffigurerebbe i bauli in Piazza Duomo a Milano. Cosa si può fare per aiutare il settore? «Il lockdown è stato una catastrofe per il settore della musica. Ognuno di noi vive nell’incertezza e tutti vogliono proporre la loro soluzione. Io e la maggior parte dei miei colleghi italiani abbiamo scritto un appello rivolto al nostro governo, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta. Il problema è che non si è capito bene di che numeri si sta parlando. Intorno al nostro mondo gravitano 570mila persone, che magari hanno una famiglia a carico. Se moltiplichiamo quel numero per una cifra anche minima di 600 euro, parliamo di 340 milioni di euro al mese. È evidente che le piccole iniziative private di ognuno di noi non possono molto quando ci si rapporta a queste grandezze. Tanti di noi aiutano come possono i collaboratori più stretti, ma per fare un salto serve lo Stato».
Abbiamo visto spesso le dive del pop prestarsi al mondo del cinema. Ci sta pensando? «Assolutamente no. Negli anni me lo hanno chiesto più volte, ma una cosa è recitare in un videoclip o presentare un programma in tv. Tutt’altra questione è recitare. Bisogna avere una formazione».
Quali progetti ha in serbo per il 2021? «Sto lavorando al nuovo album. A marzo avrei dovuto iniziare la scrematura delle canzoni tra cui scegliere. Ne sono arrivate circa 500. Col lockdown però mi sono sentita persa, continuavo a rimandare, nonostante per assurdo avessi più tempo da dedicare al disco. Mi ero ripromessa di tornare a lavorare a settembre poi si è concretizzato il progetto con Diane e tutte le mie energie sono state canalizzate lì. Ma è stato proprio quello a ridarmi forza e sicurezza per ripartire. Dovrei terminarlo per Natale 2021, mentre in futuro vorrei fare degli esperimenti tipo prendere basi di canzoni famose che non fanno parte del mio stile e provare a cantarci sopra, senza modificare il mio mondo».
1 miliardo di ascolti su spotify
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