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Ansioso il 69% degli italianiCome affrontare paura, tristezza, attacchi di panico, senza ricorrere alle medicine e senza vergognaMer 30 Dic 2020 | di Emanuele Tirelli | Salute
La paura e la tristezza fanno parte della nostra vita. Ci servono anche per comprendere il momento che stiamo attraversando, per frenarci o per mettere in moto un cambiamento. «Il problema sta nella quantità e nella misura con cui queste emozioni prendono il sopravvento, condizionando negativamente la nostra vita», dice Roberta Rossi, responsabile dell’Unità di Ricerca di Psichiatria al Fatebenefratelli di Brescia. Ansia, panico e depressione sono aumentati negli ultimi anni e non solo nel numero delle persone che ne soffrono. «Ci sono più centri di cura, più informazioni, più persone che ricorrono allo specialista».
Secondo due studi dell’Università di Torino, pubblicati la scorsa estate sul Canadian Journal of Psychiatry, il 69% degli italiani ha a che fare con l’ansia e il 31% con la depressione. Da cosa dipende la crescita?
«Da un lato, come dicevo, da una maggiore consapevolezza delle cure: ad aumentare è la domanda rispetto al passato e le donne sono di più. Dall’altro, viviamo in un mondo sempre più veloce, con un’attenzione ad alti standard di prestazione. Poi ci sono i cambiamenti del mercato del lavoro e degli assetti sociali e familiari, che ci rendono più fragili. In questi mesi, con la pandemia in corso, tutto è cresciuto ancora di più. Ma le cause di ansia e depressione sono multifattoriali: bio-psico-sociali».
Lo stigma sociale resiste?
«C’è ancora poca informazione su questi temi. Spesso è sbagliato anche l’utilizzo delle parole legate alla salute mentale. “Pazzo” viene associato a tutto ciò che è negativo e, troppe volte, ancora oggi, a chi soffre di un disturbo mentale. La prima reazione è quella di nascondersi, ma questo non fa altro che peggiorare la situazione. Di solito, inoltre, c’è sempre un periodo di latenza molto lungo tra la manifestazione del sintomo e l’accesso alle cure. Si cerca di controllarlo da soli. Per l’ansia, per esempio, si tende a evitare le circostanze e i luoghi in cui si è manifestata, quindi vengono attuate delle strategie disfunzionali di gestione che rischiano di consolidarsi nei cosiddetti evitamenti e nella ricerca dell’accesso ai farmaci soggetti a prescrizione».
L’attacco di panico si accompagna sempre a un quadro di ansia generalizzata?
«Può capitare, ma non c’è questa coincidenza assoluta. L’attacco di panico è per definizione improvviso, in un dato momento. Alcune persone ne hanno due o tre in tutta la vita, ma spesso il rischio più grande sta nella paura che ne arrivi un altro, magari nello stesso posto in cui è avvenuto il primo, come una sorta di paura della paura che apre la strada agli evitamenti».
Quando bisogna rivolgersi a uno specialista?
«Di certo non al primo sintomo. È necessario comprendere in quale fase della vita ci si trovi, se sono sopraggiunti condizioni di stress o eventi traumatici, come lutti, separazioni, perdita del lavoro. Insomma, bisogna osservare l’andamento delle cose e cercare di capire se può trattarsi di un caso isolato, ma con consapevolezza. Quando invece tutto ciò entra robustamente nella vita, tanto da iniziare a condizionarla negativamente, allora bisogna chiedere un consulto per avviare subito un percorso».
E gli psicofarmaci?
«Oggi c’è un uso fai da te elevatissimo di ansiolitici, spesso attingendo dai farmaci dei familiari che li hanno presi con regolare ricetta. Ed è quanto di più sbagliato si possa fare, non solo perché sono farmaci e quindi da assumere in base alle indicazioni dello specialista, ma anche perché, quando vengono prescritti, c’è sempre un percorso di psicoterapia da seguire per comprendere quali circostanze e quali percezioni hanno condotto ad ansia, panico e depressione; per far arrivare una persona ai veri elementi scatenanti, destabilizzanti. È naturale, come dire, che un supermercato non sia oggettivamente un luogo in cui avere paura di morire, ma se accade bisogna capirne il motivo».
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