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Zurkhaneh, la palestra degli eroiNella millenaria città iraniana Yadz si trova una delle più importanti scuole di palestra tradizionale persianaGio 28 Gen 2021 | di Testo e foto di Donatella Penati Murè | Mondo
Yadz, città iraniana millenaria, impastata con sabbia e fuoco, fedele a Zoroastro (il profeta parsi Zarathustra, predicante il credo monoteista più diffuso per secoli in asia centrale, l’Avesta, basato sull’eterna lotta tra bene e male). Soffocata da deserti tra i più inospitali della terra, il Dasht-e kavir ed il Dasht-e Lut, viene rinfrescata dalle mille “torri del vento”, sistemi naturali di condizionamento che, come mille rapaci appostati sui tetti della città vecchia, catturano vento caldo per risputarlo raffreddato dove abitano gli uomini. Claustrofobica, nel dedalo dei suoi vicoli misteriosi (kuche), tagliati in ombra e luce come da lame impietose. Generosa, pur sdraiata sul braciere dove arde perenne il fuoco sacro, nel tempio a lui dedicato (ateshkadeh), offre acqua e fertilità col sistema ingegnoso di canalizzazione sotterranea (qanat). Da 5000 anni questo luogo conserva ataviche tradizioni nobili, come in un antico e grande serbatoio dell’acqua, sormontata da cinque “badgir”, una delle più importanti scuole di palestra tradizionale persiana: lo Zurkhaneh, la “casa della forza”, dove si pratica la Zurkana, lo “sport degli eroi”. Insieme di lotta e ginnastica, nata originariamente come palestra militare.
L’ingresso al grande edificio è una piccola porta bassa, che ricorda l’atto dell’entrare, quasi inchinandosi, in un luogo sacro. Ed infatti si è iniziati ad un percorso tra misticismo e rappresentazione di forza del corpo, ma anche elevazione dell’animo. Gli atleti devono avere alti valori morali oltre a grande potenza fisica ed all’interno dell’arena non si può fumare, mangiare o tenere comportamenti poco rispettosi. Un tempo si iniziavano gli esercizi solo dopo le preghiere del mattino e le donne non erano ammesse. Solo oggi viene fatta una concessione alle occidentali, considerate “uomini onorari”. Quindi si lasciano anche le scarpe all’ingresso, come in moschea. Anche i ginnasti giostreranno scalzi ed a torace nudo, coperti da un panno e da calzoni di cuoio durante la lotta. Ma non prima di aver baciato il terreno del “gowd”, lo spazio centrale, profondo un metro, dove si terrà la rappresentazione. Tutt’intorno spettatori ed attrezzi per gli esercizi. Una sorta quindi di piccola arena delimitata da pareti arricchite da specchi ed immagini sacre. Sul “sardam”, sacro sedile in postazione centrale, ritma il tempo con tamburi, detti “tombak”, e salmodia, canti sacri ed epici, il più anziano. Il “morshed”, il regista. Tiene il tempo degli esercizi, rulla la loro velocità e con nenie sante ed eroiche tratte dal Libro dei Re, ordina il roteare di catene, mazze e lotte coreografiche. L’insieme viene coordinato dall’atleta migliore, il leader, che al battere della “zang”, la campana dell’inizio, dà il via ad esibizioni singole o corali. Tutti si cimentano sul tappeto di argilla e cenere dell’arena infossata, in ordine di anzianità. Con umiltà, come comanda il costume persiano, e mantenendo da secoli la stessa sequenzialità degli esercizi. Si invoca Dio perché vegli sulla Patria e gli uomini, poi cominciano esercizi di riscaldamento a corpo libero. Seguono quelli con scudi di legno (sang) che possono pesare fino a 40 kg, ritmicamente alzati ed abbassati. Poi si usano clave di 50 kg (i mil), che vorticano agilmente nell’arena, come giochi per clown. Anche se una volta il circo era quello bellico. Si succede la “sema”, la danza rotante. Come i Dervisci, gli atleti girano su se stessi fino a 15 minuti senza perdere né coordinamento né agilità. Poi le acrobazie con l’arco di ferro e catene, pesante fino a 10 kg, che crea un tintinnio che accompagna il ritmo del tabak. Ed infine la lotta. Una sfida eroica, che un tempo si eseguiva al cospetto dello Scià, che premiava il migliore lottatore con un bracciale. Tutto poi finisce con una preghiera, come iniziato.
Ma non sempre questa nobile disciplina che educa corpo e mente, esclusiva dell’impero persiano è stata tollerata. Spesso veniva osteggiata e perseguitata. E nel ricordo di questo difficile passato, viene praticata in luoghi atipici, defilati. In arene sportive interrate e chiuse, onde evitare sia spifferi dannosi alla salute degli sportivi che quelli dell’intolleranza. Infatti, nel passato, molti Zurkhane furono distrutte dagli invasori, che le consideravano covi di ribelli, dove ci si riuniva per tramare ed esercitarsi per lotte sovversive. Ma gli Iraniani le ricostruirono sempre. Anche lo Scia Reza Palavi, praticava questa nobile arte, che ha un’origine misteriosa ed antichissima. Una fusione di cultura preislamica e riti del sufismo, la rendono epica ed ammantata: nel Libro dei Re si narra di atleti mitici che lottano contro le forze del male. Ed in questo è il significato profondo di questa disciplina, detta anche “Varzesh-e pahlavani”. Qui s’impara l’umiltà, la temperanza e la purezza d’animo: senza queste qualità la forza fisica non sarà mai raggiunta. Nenia il Morshed, la guida, sempre dal Libro dei Re: “Impara la modestia se vuoi la conoscenza, un altopiano non potrà mai essere irrigato dal fiume”.
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