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Tutto, ma non Eddie Murphy

Viaggio in ciò che c’è di più interessante nel cinema. E lo “sconsiglio” dell’anno

Mar 30 Mar 2021 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
Foto di 5


Sound of Metal

Regia: Darius Marder
Genere: Drammatico
Piattaforma: Amazon Prime Video
Voto: 5/5

Ci vuole talento, coraggio al limite dell’incoscienza e una storia incredibile per arrivare agli Oscar da totale outsider e insidiare la corazzata Mank. “Sound of Metal” è tutto questo, ma anche una lezione di cinema, musica e umanità, la tragedia tenera e implacabile di un batterista che sta perdendo l’udito e della sua battaglia per conservare la sua passione, ciò che ama di più e il ritorno a una vita che solo da poco era diventata normale. Ruben da 4 anni era “pulito”, l’unica droga era la musica suonata con la fidanzata Lou, il loro duo, i Blackgammon, era sempre in tour come il loro amore. Ma poi un ronzio, sembra acufene, inizia a minare la sua serenità e la sordità arriva violenta e implacabile. E noi la “sentiamo” con lui. Perde tutto, dalla batteria alla donna che si trasferisce in Francia. In una casa per sordomuti un veterano del Vietnam lo aiuta, anche e soprattutto ad accettare la sua nuova condizione, ma lui non demorde, vuole tornare a ciò che era. Il film ci dice che è qualcosa in più ora - che bravo Riz Ahmed, interpretazione clamorosa - e lo fa con finezza stilistica nella scrittura visiva e non e con momenti di rigore documentaristico. La durata è impietosa, ma necessaria, così come quella scelta di regia, messa in scena, interpretazione che è sposare i movimenti di macchina con un montaggio sonoro audace, spezzato e ovattato nei primi piani e più naturale e normale quando spettatore e cineasta prendono distanza dal protagonista. Ahmed sa calibrare la paura e la tenacia, il dolore e la forza, il disorientamento e la solitudine di chi ha perso la propria chiave per vivere il mondo. E che dovrà capire che quell’assordante silenzio, forse, è solo un altro tipo di musica.

 


Proxima 

Regia: Alice Winocour
Genere: Fantascienza
Piattaforma: Netflix
Voto: 4/5

Eva Green ci era sembrata un sogno. Grazie a Bertolucci che in “The Dreamers” aveva scovato una diva poi amata anche nell’ambigua antagonista di “007 Quantum of Solace”. Ma come diceva “Maledetta primavera”, che resta di un sogno erotico se al mattino è diventato un poeta? Poco, perché Eva Green aveva occupato il nostro immaginario, ma progressivamente era sparita dallo star system. Sospettavamo tutti per uno scarso talento celato inizialmente dietro una sensualità prepotente e una presenza scenica ammaliante. E invece. Arriva “Proxima”, sorta di “First Men” al femminile, con una madre astronauta alle prese con il proprio sogno, “l’ultima spedizione prima dello sbarco su Marte”, con gli occhi rivolti al cielo e il cuore a terra, con una figlia che si troverà orfana per un anno e pur avendolo sempre saputo ora ha paura. Eva Green è una donna in carriera e una madre amorevole, ha dovuto scegliere spesso quanto e come essere presente con la figlia, per non smettere di essere ciò che ha sempre desiderato. In “Proxima” la fantascienza è un (pre)testo, il racconto è quello di una donna che non è disposta a tradire se stessa, ma che riesce, a modo suo, a essere tutto. Eva Green sa riempire di senso, amore e determinazione questo personaggio complesso e sfaccettato, sa darle una fragilità di granito, sa modellarla con originalità. E sotto la guida di una cineasta intelligente e attenta, esce fuori una figura femminile completa, emozionante, altra. Bella sorpresa!

 


Tom e Jerry

Regia: Tim Story
Genere: Animazione in live action
Piattaforma: PVOD
Voto: 3/5

Anni e anni a vederli nel preserale della Rai, imbattibili. Anni e anni che conduttori in carne e ossa provano a batterli e loro, anche con le repliche, li doppiano negli ascolti. Tom e Jerry sono icone leggendarie, non solo (anti)eroi di una produzione seriale Hanna e Barbera, ma archetipi (come Willy il Coyote e Beep Beep). Ecco perché tirarli fuori in una produzione cinematografica non è un atto banale, ma, anzi, un rischio non indifferente. Parzialmente evitato, perché l’opera è sufficiente. Poteva essere di più se live action e animazione avessero convissuto bene non solo tecnicamente, ma anche interpretativamente, sul modello per intenderci di Space Jam. Invece Chloe Grace Moretz sembra sempre a disagio e in generale il mondo reale non sembra interagire con quello animato della (e dalla) fantasia, ma solo esserne scenografia privilegiata. Questo non toglie che il film sia godibile, d’altronde i due dopo sette oscar, 16 lungometraggi e 5 interminabili serie animate sono rodati e si vede. Qui si concedono le solite rocambolesche schermaglie, ma anche un’alleanza improbabile e divertente, per poi rifarsi la guerra con le consuete disavventure slapstick e infine essere messaggeri di un sentimento superiore che consentirà loro di riscattarsi e salvare l’umana, che a suo modo si è fidata di loro. Una che vorrebbe organizzare il matrimonio dell’anno alla perfezione e si trova tra i piedi due sabotatori patentati. Nulla di originale, tutto già visto, ma non è forse per questo che amiamo quei due?

 


Simple Women

Regia: Maria Chiara Malta
Genere: Dramma
Piattaforma: Miocinema
Voto: 3/5

In un cinema che fa di tutto per appiattire i ruoli femminili e di conseguenza le attrici e le donne di cinema in generale, una come Jasmine Trinca ti fa riempire il cuore d’orgoglio. Perché in direzione ostinata e contraria riesce sempre a colpirti con le sue performance, a sedurti con i suoi personaggi, a conquistarti con le sue scelte. Il suo nuovo film da protagonista, “Simple Women”, è l’alleanza tra tre donne, tra una regista come Chiara Malta, acuta osservatrice e raffinata narratrice, la grande attrice italiana e Elina Löwensohn, qui icona e interprete notevole di se stessa. E pazienza se il film è imperfetto e discontinuo, se ha ottime intuizioni (e intenzioni), ma non sempre questo corrisponde a una realizzazione impeccabile. “Simple Women” vive della capacità della Trinca di indossare i panni scomodi e goffi di Federica, regista con un sogno che viene dall’infanzia e una donna che le ha fatto da stella polare e un presente ingabbiato nei documentari religiosi e in troppi problemi irrisolti; vive in quell’icona consumata e scorbutica come il pezzo dei Sonic Youth di uno dei momenti più belli del film, vive in una storia che sa essere audace anche nella sua gestione di tempi, spazi e linguaggi. E quando rischi, puoi essere perdonato per le sbavature. 

 


Il principe cerca figlio

Regia: Craig Brewer
Genere: Commedia
Piattaforma: Amazon Prime Video
Voto: 0,5/5

Potevamo aspettarci che questo sequel fosse scadente. Anche brutto. In fondo abbiamo dovuto sopportare sequel commerciali di stracult - “Il ritorno del monnezza”, “L’allenatore nel pallone” - come di capolavori - “The blues brothers” - provando imbarazzo profondo per quei tentativi. Eravamo pronti a qualsiasi disastro, credevamo. E con questo spirito ci siamo seduti a guardare, 33 anni dopo, il ritorno di Hakeem, sorridendo al pensiero di come il connubio John Landis dietro la macchina da presa e Eddie Murphy davanti ci avesse fatto ridere con gag irresistibili, momenti di politicamente scorretto sublime e ironia sexy. Ma qualsiasi pessimismo non poteva quantificare le dimensioni del disastro che si è composto davanti ai nostri occhi. Non si ride mai, non ci si affeziona mai. La trama è ancora più esile che nel primo, il protagonista è l’ombra di se stesso. 
“Il principe cerca figlio” è pavido, fa l’occhiolino ai millenials senza conoscerli, cerca di non scontentare nessuno e prova forse a sedurre i nostalgici (il cast è lo stesso più Wesley Snipes, di fatto non è un film, ma un ammortizzatore sociale) senza riuscirci. Ora speriamo solo non si mettano a cercare un nipote.

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