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I figli? Vittime collateralie se sono i figli ad usare l’arma del ricatto quando i genitori sono separati?Mer 28 Apr 2021 | di Lucrezia L. | Genitori&Figli
Per consolare la mia amica inconsolabile apro la mia scatola di praline e dolcetti, confidando nello sconfinato potere consolatorio della cioccolata. Lei pesca uno di quei cioccolatini con il biglietto dentro e lo legge ad alta voce. Contiene un verso del poeta francese Paul Geraldy: “Il più difficile non è il primo bacio, ma l'ultimo”. Neanche a farlo apposta. Giù altre lacrime.
Insomma, sono stata pessima. Anche perché non riuscivo a pensare ad altro che a quelle altre mie amiche che la fase “fine dell’amore“ l’hanno superata da un pezzo. Ed è dopo che sono iniziate le difficoltà vere.
L’amore che finisce fa male, ma, nella maggior parte dei casi, si riesce a farsene una ragione, si trattengono i ricordi belli, quelli brutti svaniscono e ci diciamo che tutto sommato va bene così. Molto più difficile è se il rapporto finito lascia macerie velenose, rabbia e vendetta. E può diventare un incubo se di mezzo ci sono i figli.
Ascoltando e leggendo, mi sono accorta che l’aspetto più trattato di questa fase, che può essere davvero un tormento, è l’incrocio di ricatti morali tra gli ex, soprattutto se uno dei due, o entrambi, arrivano alla perfidia di usare i ragazzi come leva per colpire l’ex compagno di vita contro cui nutrono rancori. è comprensibile che se ne parli tanto: i figli sono “vittime collaterali” dei divorzi-guerra, innocenti coinvolti nel conflitto senza aver scelto la famiglia in cui vivono, né la sua rottura. Esiste anche un codice dei diritti dei figli di genitori separati che sostiene questo: i bambini e i ragazzi hanno diritto a preservare le relazioni familiari, a non esser separati dai genitori, a mantenere rapporti regolari e frequenti con tutti e due e, soprattutto, a essere ascoltati sulle questioni che li riguardano.
Si parla pochissimo invece di un altro aspetto che può apparire meno grave, ma per certi versi non lo è davvero: quando sono i figli a usare l’arma del ricatto affettivo per mettere sotto pressione i genitori. Il figlio adolescente di una mia amica la tormenta letteralmente. A fronte di ogni suo accenno a rifarsi una vita, il ragazzo reagisce diventando aggressivo contro di lei e autoinfliggendosi disfatte scolastiche. Della serie: se non mi metti al centro dell’attenzione non studio e mi immolo tipo kamikaze alla prossima interrogazione. Come si capisce, è una situazione delicata e difficile, soprattutto se non c’è un partner che collabora ed evita che il figlio usi anche lui per rafforzare il ricatto. E la cosa triste è che alla fine a essere danneggiato è anche il figlio. Non ci sono soluzioni universali, ma la psicoterapeuta Susan Forward suggerisce che innanzitutto bisogna saper riconoscere i ricattatori affettivi. E per aiutare a farlo li ha divisi in quattro categorie.
Le vittime. Non fanno minacce contro di noi o se stessi, tuttavia ci tengono a farci sapere in modo inequivocabile che, se non facciamo quel che vogliono, loro soffriranno. E la colpa sarà solo nostra.
I seduttori. Si tratta del tipo più subdolo di ricattatori: sono quelli che ci incoraggiano, ci promettono di tutto e poi ci chiariscono che, se non ci comportiamo come vogliono loro, non avremo nulla.
I punitivi. Ci fanno sapere esattamente ciò che vogliono e le conseguenze a cui andremo incontro se non ci pieghiamo. Tipici esempi: Se accetti quel lavoro me ne vado, se mi lasci non vedrai più i bambini (o non vedrai più me se a parlare è un figlio).
Gli autopunitivi. Mettono in atto ricatti più sottili e fanno leva sulla nostra compassione e il nostro sentirci responsabili per loro. Il loro ricatto si attua nel farci sapere che se non facciamo ciò che vogliono ne saranno così turbati da non riuscire più a comportarsi normalmente.
Se li conosci, li eviti o meglio, li aiuti a evitare. O almeno ci provi.
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