acquaesapone TV/Cinema
Interviste Esclusive Viaggi Editoriale Inchieste Io Giornalista TV/Cinema A&S SPORT Zona Stabile Rubriche Libri Speciale Cannes

Cinema

L’Italia di genere sul piccolo schermo

Mer 28 Apr 2021 | di Boris Sollazzo | TV/Cinema
Foto di 5

Il mio corpo vi seppellirà
regia: Giovanni La Parola
Piattaforma: PVOD
Voto: 5/5
In questo periodo così difficile per il cinema, italiano e non, scoprire una perla è ancora più importante e bello. Vale per questo film, sorta di western storico al femminile ambientato nel XIX secolo del brigantaggio che vede alla regia (e al soggetto, alla sceneggiatura e al montaggio) un cineasta di talento che ha fatto molta tv e tre film in quasi due decenni, Giovanni La Parola. Uno che non ha problemi a citare sfacciatamente Sergio Leone (ma anche Peckinpah e Tarantino, nello spirito prima che nelle immagini), a riprendere e modellare codici apparentemente immutabili del genere per (ri)costruire la Storia e farne un racconto potente, originale, controcorrente. Lo fa con raffinatezza scolastica e un’eccezionale direzione delle attrici (Miriam Dalmazio, Antonia Truppo, Rita Abela e Margherita Madé tra le altre, che brave) e degli attori (il solito cavallo di razza Guido Caprino, sorta di Waltz in Bastardi senza gloria e un ottimo Giovanni Calcagno, tra gli altri), con un montaggio coraggioso e adrenalinico e la voglia sana di esagerare nell’iconografia e nell’immaginario, regalandoci alla fine un film che ha un elemento forte di novità lavorando sul classico, con un cammino continuamente parallelo e convergente che tiene sempre alto ritmo, attenzione, intensità emotiva e creativa. E con queste brigantesse figlie di un altro tempo tu ti ritrovi a riflettere sulla Storia scritta sempre dai vincitori (in questo caso maschi e sabaudi), ma anche su un sessismo sin troppo attuale e una visione politica e sociale modernissima.


 

Concrete cowboy
regia: Ricky Staub
Piattaforma: Netflix
Voto: 4/5
Eccolo un altro western atipico e rivoluzionario, in questo caso metropolitano. Un altro western che ci dice che fuori dall’iconografia conformista della storia e della propaganda, c’era anche altro (e soprattutto altri). Se nel film di La Parola erano donne brigantesse a rompere lo stereotipo, qui troviamo dei neri a cavallo che ci ricordano che anche “Lone Ranger era di colore”. Qui c’è un passo avanti, perché c’è un salto logistico e temporale, perché il mito della frontiera viene spostato nelle nostre città e nei tempi moderni, con i cowboy di Philadelphia che stanziavano (realmente) nelle stalle di Fletcher Street e che qui troviamo in gran parte tra le comparse. Un film bello pur se imperfetto che è tratto dal bestseller di Greg Neri Ghetto Cowboy. Trama prevedibile - un ragazzino problematico mollato dalla mamma davanti alla stalla del padre, uomo tutto d’un pezzo e durissimo - con tanto di racconto di formazione, in questo caso tra cavalli, un’etica rigorosa e antica, un nuovo inizio. Idris Elba, produttore e coprotagnosta, dà una struttura pesante, ma solida alla storia, senza troppe sfaccettature, perché il West, ovunque, comunque e quando esso sia, rimane una storia di uomini che non vanno tanto per il sottile, tra assolo recitativi, una sceneggiatura a tratti tagliata con l’accetta, ma che ha ben chiaro dove vuole andare a parare e un minimalismo che viene rotto dal bravo e forse troppo ansioso di dimostrarcelo Caleb McLaughlin. Ma alla fine, il risultato - anche grazie a una grande storia vera alle spalle - il regista Ricky Staub lo porta abbondantemente a casa.



Jungleland
regia: Max Winkler
Piattaforma: PVOD
Voto: 3/5
Parliamoci chiaro, sbagliare un film sulla boxe è come tirare in tribuna un rigore a porta vuota. Quantomeno improbabile, per essere gentili. A questa regola non scritta non si sottrae il buon mestierante Max Winkler che al ring aggiunge anche un on the road - altro genere rifugio - e due fratelli (buddy movie, altro genere “facile”, per andare sul sicuro) che devono salvarsi la pelle e magari ritrovarsi già che ci sono. A questo aggiungiamo che le facce non banali e il talento non trascurabile di Charlie Hunnam e Jack O’Connell mettono al riparo l’opera da rischi di insufficienze di sorta. Allenamenti, dolore (non solo fisico) ed emozioni, sudore, sangue e lacrime si uniscono a un coté sociale forse un po’ telefonato, ma coerente con la storia e una fluidità nella scrittura della sceneggiatura che fa sì che Jungleland si faccia voler bene. Certo, come spesso accade in questi casi, ci si chiede se si poteva fare meglio e di più. E quasi sempre la risposta è sì, di sicuro lo è in questo caso. Ma poco importa, appassionati e non comunque non rimarranno delusi.



Non mi uccidere
regia: Andrea De Sica
Piattaforma: PVOD
Voto: 3/5
Già con “I figli della notte”, uno dei thriller italiani più interessanti e ben fatti degli ultimi anni, avevamo capito che stoffa avesse Andrea De Sica, che dal nonno non ha preso solo il cognome evidentemente. Fu un esordio folgorante, persino ingombrante ora che decide di virare verso quello che potremmo definire uno zombie teen movie, che, in caso di successo, potrebbe diventare persino una saga. Se “I figli della notte” aveva una sua unità narrativa e visiva notevole e nessun  calo di ritmo e di coerenza stilistica e di immaginario, qui siamo su un campo meno facile e forse viziato (in senso anche positivo) anche dall’esperienza televisiva di De Sica con Baby. Il risultato è un teen movie a tinte horror, con un’Alice Pagani che conferma un magnetismo inusuale davanti alla macchina da presa, una serie di caratteristi di razza (Albelli, Ferracane, Ferrara) e una sensibilità registica per il genere che dopo un inizio frettoloso e un po’ goffo - anche se la prima scena e il primo twist della storia sono notevoli anche a livello di immagini - poi ingrana e lentamente funziona. Paga, De Sica, anche una scarsa tradizione nel genere del cinema italiano - vecchia di decenni e inutilizzabile anche perché tecnicamente superata -, ma conferma quanto possa rivoluzionarne gli stilemi e renderlo sexy, cattivo, diverso. Lo conferma anche quella scena finale, raramente affidata con quella battuta e quell’attitudine a una giovane attrice, per quanto brava e carismatica.



Governance il prezzo del potere
regia: Michael Zampino
Piattaforma: Amazon Prime Video
Voto: 1,5/5
Fa male quando una buona storia e due straordinari attori come Massimo Popolizio e Vinicio Marchioni pur mostrando tutto il loro valore, non riescono a salvare un film. Dalle proprie ambizioni non all’altezza di una regia ideologica e schematica. Vedendolo dalla giusta distanza, il lungometraggio arriva alla meta zoppicando, ma ci arriva, Zampino ha un buon occhio, ma un’eccessiva rigidità narrativa, offre la meschinità, l’opportunismo, l’istinto di sopravvivenza del potere senza la tridimensionalità, che per esempio abbiamo visto in questo genere di film nell’ultimo cinema francese. Non aiuta la storia dello squalo e dei pesci piccoli, così come il Giano Bifronte dei noir politici ed economici che nel cinema moderno si incastra sempre nella dicotomia di personaggi uniti da un rapporto ambivalente. Lo sappiamo fin dai tempi di Wall Street di Oliver Stone. Un vero peccato perché Marchioni (che da solo salva il film, o quasi) e Zampino ne “L’erede” avevano mostrato la possibilità di riuscire a raccontare un certo tipo di storie senza incagliarsi in archetipi troppo facili, di un cattivo cattivo e un buono che lo diventa perché è inevitabile e perché vessato dal primo. Rimane il fatto che fa piacere vedere che ci sia sempre più spazio per certi racconti nel nuovo cinema italiano.


 


I MAGNIFICI 7 (in streaming)

Il mio corpo vi seppellirà: brigantaggio, brigantesse, l’Italia non come l’hanno raccontata sui libri di storia, ma com’era veramente. Cast in stato di grazia, regista di talento, un western sorprendente.

Concrete Cowboy: un altro western, ma un secolo dopo e a Philadelphia. E i cowboy sono neri, come ce n’erano molti, ma la storia li ha dimenticati. Anche loro. Solido, emozionante, ruvido.

Non mi uccidere: Andrea De Sica è un gran regista. Con questo zombie teen movie mostra coraggio e voglia di innovare. Il resto è Alice Pagani. E Rocco Fasano, sosia di Robert Pattinson.

Madame Claude: in poco tempo è diventato il film più visto su Netflix. E più chiacchierato sui social. Leggermente sopravvalutato, ma la maîtresse spia (realmente esistita) vale la visione.

Cosmic Sin: alieni, veterani che devono conoscerli e capire se vogliono invaderci. Perché quando il pericolo è spaziale, si va a pescare tra le riserve. Praticamente il nuovo (fiacco) “Armageddon”.

Jungleland: ci sono tre generi rifugio: i film sul pugilato, gli on the road e i buddy movie. Questa storia di pugni, fratelli, povertà, lacrime, sudore e sangue è tutti e tre. Difficile fallire così.

Governance il prezzo del potere: bravi Popolizio e (soprattutto) Marchioni, ma Zampino non replica l’exploit de “L’erede” con un film sul potere troppo ideologico, statico, prevedibile. Peccato.

Condividi su:
Galleria Immagini