DAD? Meglio la scuola!
Tra problemi tecnici, mancanza di contatti umani, nuove paure e dipendenze, gli studenti sono arrivati alla fine di questo anno scolastico: e ora?
Mer 26 Mag 2021 | di Angela Iantosca | Attualità
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La didattica a distanza non è piaciuta agli studenti italiani. A pensarla così è il 62% dei 10.000 ragazzi - tra gli 11 e i 19 anni - intervistati tramite un sondaggio promosso dal portale Skuola.net e dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo).
Le cause di questa bocciatura? Molteplici!
Secondo il 48,6% degli intervistati è dipeso dai docenti che non sono riusciti a organizzare lezioni stimolanti, determinando un prevedibile calo del rendimento, percepito come “nettamente” o “leggermente” peggiorato dal 28,7% degli studenti.
Ma a contribuire al calo del rendimento e alla bocciatura della Dad anche le tante distrazioni che gli studenti si sono concessi durante le lezioni: il 58% dei ragazzi, ad esempio, ha dichiarato che ha usato app, come WhatsApp e/o simili, per avere scambi con i compagni o con gli amici, durante le lezioni.
Secondo una ricerca di Parole O_Stili e Istituto Toniolo, condotta con il supporto tecnico di Ipsos, su oltre 3.500 studenti della scuola secondaria di secondo grado e su circa 2.000 insegnanti della scuola primaria e secondaria, il 96% dei ragazzi durante la Dad ha chattato con i compagni, l'89% è stato sui social media, l'88% ha consumato cibo e il 39% ha cucinato.
Tanti studenti, inoltre, dai dati di Skuola.net e Di.Te., raccontano di non essere riusciti a seguire la scuola online perché distratti (58%) o interrotti (51,4%) da altre persone presenti in casa. Inoltre, il 15% degli intervistati ha raccontato di non poter mai o quasi mai contare su uno spazio privato per seguire la Dad. E poi ci sono le interruzioni dovute ai problemi di connessione: ci si è imbattuto più di una volta il 36,8% del campione, “spesso” o “sempre” il 32,3%. Un contributo, però, viene anche dalla carenza di adattamento dei docenti al nuovo modo di fare lezione: solo il 9,1% degli studenti intervistati ritiene che tutti (o quasi) i docenti sappiano davvero fare lezione in Dad, a cui si aggiunge un 23,5% che perlomeno salva la maggioranza, ma ne boccia comunque più di uno.
Ma quali sono stati gli effetti sulla loro psiche?
Dall’inizio della pandemia, alcuni hanno iniziato a fare uso di sostanze stupefacenti (9%), alcol (quasi 18%) e fumo (12%). Tra chi faceva già uso di queste sostanze si è registrato un aumento netto del consumo di stupefacenti per il 10%, degli alcolici per il 6% e delle sigarette per il 16%. A cui si aggiunge chi confessa un aumento lieve (12% per quel che concerne alcolici e stupefacenti, quasi 20% per gli alcolici). Ma non è tutto: sono cambiate pure le abitudini alimentari, con il 50% degli adolescenti che dice di avere incrementato il consumo di cibo durante gli ultimi mesi di chiusura in casa. E, ancora, se circa un terzo dei ragazzi (36%) dice di avere dormito più ore, il 44% ammette di dormire meno ore rispetto a quanto facesse prima della pandemia e della didattica a distanza.
«Questi sono solo alcuni dei riflessi di un disagio che si protrae da lungo tempo. Dormire di più può rivelare uno stato depressivo, mentre dormire di meno o in modo discontinuo può sottendere a uno stato ansioso - riflette Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te -. Oltre a non avere avuto occasioni sociali, hanno perso anche molte delle loro valvole di sfogo, tra cui lo sport: più della metà degli intervistati non ha fatto nessuna attività».
E a proposito di relazioni sociali, gli studenti oltre a percepire le lezioni poco coinvolgenti (lo dice più del 76% di loro) hanno messo in evidenza - nel 53,3% dei casi - che non hanno mai avuto spazi di condivisione del loro vissuto emotivo. Questo aspetto non potrà che essere un problema per il ritorno in presenza. Chi, per esempio, ha subìto atti di cyberbullismo durante la Dad – ed è successo nell’11% dei casi – ha dichiarato che ha iniziato a isolarsi volontariamente (nel 77% dei casi). «Molti ragazzi vittime di cyberbullismo con elevata probabilità avranno difficoltà a tornare sui banchi: se non interveniamo con un percorso di supporto studiati ad hoc per le scuole, assisteremo a un aumento dell’abbandono scolastico», conclude Lavenia.
IL SELFIE DELLA GENERAZIONE Z
100 domande e 30mila studenti: ecco la fotografia senza ritocchi degli adolescenti
di Angela Iantosca
Chi sono? È una di quelle domande sulle quali nessuno si sofferma mai. Eppure è una domanda che ti inchioda, ti costringe a riflettere, a comprendere i tuoi confini, il posto che vuoi occupare nel mondo, chi vuoi essere e diventare. E proprio “Chi Sono?” (Skuola.net – DeAgostini) è il titolo del libro realizzato da Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net, e da Federico Taddia, e che vuole fotografare la generazione Z, quella degli adolescenti contemporanei, senza filtri e ritocchi.
«Abbiamo voluto dar voce a questa generazione – spiega Grassucci - che è molto sottovalutata, aspetto che si nota già nella scelta della lettera Z per identificarla. Non ha un acronimo, non sono i millennials, non sono i Boomer, è una generazione anonima se non altro per definizione. Spesso confusa con i millennials. Questo significa che per questi ragazzi della cultura contemporanea ancora non c’è un posto. E noi volevamo farli parlare».
Grassucci e Taddia così hanno posto più di cento domande a 30mila ragazze e ragazzi per raccogliere idee, opinioni, punti di vista su amore, passioni, futuro, felicità, amicizia, corpo, rabbia, paura...
«Anche dai dati notiamo che spesso sono etichettati dagli adulti. Eppure dalle loro risposte si scopre che i genitori non parlano con loro, non gli chiedono mai “come stai?”. La metà di loro si sente porre solo la domanda sul risultato. E vengono definiti come quelli che non vogliono fare niente se non stare sul cellulare. Ma, nello stesso tempo, ci si aspetta molto da loro».
A chi si rivolge il libro?
«Il libro è rivolto agli adulti per dire loro: ecco, questi sono i ragazzi, che vogliamo fare? E poi volevamo spingere i ragazzi a fare delle riflessioni su sé e sugli altri. Abbiamo fatto attenzione a dare stessa dignità a tutte le risposte. E alla fine di ogni capitolo abbiamo lasciato spazio al libero pensiero, ad altre opzioni. Le 100 domande possono non coprire le esigenze di tutti i ragazzi e noi adulti dovremmo spingerli a porsi delle domande, oltre a dover capire che i ragazzi hanno altre passioni rispetto a noi che possono comunque trasformarsi in opportunità».
La cosa che gli fa più paura?
«Deludere i genitori più che se stessi. Di fatto ci sono grosse aspettative su di loro e loro lo sentono, ma sono privi degli strumenti necessari per soddisfare questa aspettativa. Da una parte sono sottovalutati, gli adulti hanno grandi aspettative su di loro, ma sono inseriti in un sistema che non gi permette di formarsi adeguatamente e di trovare lavoro».
E della scuola cosa dicono?
«La scuola è l’ambito che per loro dovrebbe essere rivoluzionato. La definisco come tossica e sono convinti che non funzioni».
Temi che li appassionano?
«L’ambiente che sentono come una sfida. E poi il tema del lavoro che sentono che manca. Vedono che la società è ingiusta, razzista, omofoba. E quando parlano di rivoluzioni lucidamente affermano di dover sistemare i danni che hanno lasciato loro chi li ha preceduti nella scuola, nell’ambiente, nella politica. In realtà, quindi, a differenza di quanto pensano gli adulti, non è una generazione addormentata, ma molto consapevole. Quando si rifugia nell’effimero, nell’apparenza, nei social lo fa perché non ha alternative, non gli viene offerto altro. C’è una percentuale che accetta l’intervento estetico e ritocca le foto, solo il 3% pensa che il denaro non conti nulla: ebbene, questa fuga verso elementi di esteriorità o verso il mondo dei social è una fuga dalla realtà che gli è stata messa in mano, che hanno ereditato».
Come vedono gli adulti?
«Gli adulti escono pesantemente bocciati da questi ragazzi».
C’è una speranza?
«Certamente: è una generazione lucida che ha dimostrato di poter fare un cambiamento. Pensa alla sostenibilità ambientale, alle normative arrivate negli ultimi 30 anni, pensa all’efficenza energetica. Ebbene, la politica si è posto la questione. Ma, al di là delle norme, servono delle persone che applichino quanto normato. E dobbiamo dire che non c’è mai stata una grande coscienza della sostenibilità. Ad imporla sono stati i ragazzi a cominciare da Greta. Sono loro che hanno imposto un cambiamento, tanto che le famiglie hanno comportamenti sostenibili grazie ai giovani. Questo significa che i ragazzi hanno il potenziale per portare a compimento una rivoluzione. Per farla, però, hanno bisogno di strumenti che dobbiamo fornire noi adulti, che dobbiamo concentrarci su scuola, lavoro e ambiente».
Come escono dal lockdown?
«Ne escono provati. Il 60% di loro ha sviluppato delle nuove paure. Perché dobbiamo considerare che la scuola, per quanto la didattica funzioni male, ad oggi è il principale serbatoio di amicizie e di relazioni. Se togli la scuola, togli relazioni vere e stabili. Infatti, la maggior parte di loro ci dice che le vere amicizie sono quelle scolastiche. Quelle social le considerano superficiali come amicizie. Quindi quello che è accaduto in questo anno è che sono stati iper-connessi, ma si sono sentiti soli».
Come ‘risolvono’ questa solitudine?
«Questa solitudine che si traduce in frustrazione e rabbia alcuni la sfogano su se stessi. E i dati sull’autolesionismo ce lo dicono. Non solo. Alla domanda sulla morte, qualcuno risponde che la vede come una soluzione. Ma che si fermano perché non vogliono creare problemi ai genitori o a chi è accanto. E poi ricorrono ad alcol e droga, alla violenza verso gli altri, ad un rapporto distorto con il cibo… Non tutti certamente, ma sono fenomeni in crescita. D’altro canto c’è chi cerca di canalizzare nella cultura: qualcuno scarica la rabbia leggendo o sentendo musica».
Quali sono i personaggi in cui credono?
«Chiara Ferragni su tutti, seguita da Fedez. E anche la mamma di Chiara Ferragni. Tendenzialmente a parte la Ferragni, l’altro mattatore è Harry Style e la musica allegra di Billie Eilish, ma anche Ariana Grande. Fa impressione vedere che Dio è allo stesso livello di un cantante. Nel loro pantheon la musica ha un ruolo importante».
E cosa è per loro la felicità?
«La felicità la cercano nelle piccole cose. Qualcuno dice che è felice se balla, canta, se sta con la fidanzata. Quindi la loro ricerca dell’apparenza dipende dall’assenza di figure di riferimenti. Quello che ti dicono è che vogliono cercare il senso. Cosa che chiedono anche rispetto alla scuola: bisogna ritrovare il senso».
La cosa che li spaventa di più?
«Il fallimento. Non riuscire a trovare un senso alla loro vita. La solitudine. La morte e la mancanza di affetto, amicizie».
Cosa vedono nel loro futuro i ragazzi?
«Quando loro si immaginano nel futuro, pensano a mestieri tradizionali nel 90% dei casi: avvocato, ingegnere, professori… Questo cosa significa? Che c’è una imposizione della visione del mondo da parte degli adulti che continuano a non ascoltare i ragazzi. Per esempio, l’industria del gaming sta dando tantissimo lavoro, si cercano figure sia nella produzione che nella distribuzione e nel modo di giocare. Si stanno creando nuovi mondi nei quali i ragazzi potranno avere opportunità oggi e nel futuro e noi non possiamo far finta di niente. Quindi, se c’è un genitore che pensa che il figlio che gioca tanto stia perdendo tempo, forse sbaglia».
Un consiglio?
«Avvicinatevi gli uni agli altri. È importante che l’adulto faccia l’adulto, perché il modello “amico” è una stupidata. Ma è sbagliato anche il distacco».
LA DAD VISTA DAGLI STUDENTI
FEDERICA
16 ANNI – II SUPERIORE
LICEO CLASSICO
«Passare dalle "classiche lezioni in presenza" alla Dad non è stato semplicissimo: da un giorno all'altro ci siamo dovuti organizzazione in modalità on line con tutte le difficoltà che ne conseguono. Non posso dir di considerare la Dad un modo migliore o peggiore di fare scuola, ma semplicemente diverso. Ma ad alcuni confort (ad esempio la comodità di essere a casa propria) si aggiungono ahimè grossi difetti, come la difficoltà di apprendimento di alcuni concetti, poiché il rapporto insegnante-studente avviene attraverso uno schermo e non "a pelle", oppure la sensazione di isolamento, dovuta alla mancata presenza di persone intorno a noi, a cui eravamo abituati. C'è però da dire che in alcuni casi, quando c’è un’ospedalizzazione o altri problemi che non consentono la frequenza in presenza, la Dad è utile».
EVA
10 ANNI
QUINTA ELEMENTARE
«A me della Dad non è piaciuto niente, perché le maestre non si sono impegnate ed erano senza voglia di fare lezione. E comunque non stavano al passo con interrogazioni e compiti».
CARLOTTA
12 ANNI
SECONDA MEDIA
«La Dad non mi piace perché non puoi stare in classe con gli amici e perché la comunicazione non è la stessa. Non puoi parlare quando vuoi… Sembriamo dei robot!».
GIULIA
15 ANNI
I SUPERIORE - LICEO SCIENTIFICO
«No, non mi è piaciuta la Didattica a Distanza. Neanche quando abbiamo cominciato ad alternare una settimana in classe ed una a casa. Quando eravamo a casa era come essere in vacanza, tanto sapevamo che non ci avrebbero interrogato...
Ci eravamo appena conosciuti con i miei compagni, quando si è stabilita nuovamente la chiusura. Dico nuovamente perché le scuole Medie le ho concluse nello stesso modo: a casa a preparare la tesina per l’esame finale. Comunque, con i compagni ci siamo tenuti in contatto tramite i gruppi Whatsapp. Raramente con qualcuno in questi mesi ci siamo visti fuori per mangiare una cosa. Ma la prassi è stata non vedersi».
Come tutti gli studenti anche Giulia racconta di connessioni che cadevano all’improvviso, di assenze segnate dai docenti quando qualcuno non riusciva a ‘rientrare’ in classe, di appelli, condivisioni di schermi, di programmi da scaricare, di sveglie puntate due minuti prima del suono della campanella.
«È vero, qualcuno, a volte, ha finto di avere problemi con la rete internet. Ma piuttosto di frequente è capitato che le telecamere non funzionassero, che i computer e la connessione non supportassero tanti collegamenti. Certo è anche successo di vedere i compagni che facevano colazione mentre la prof spiegava!». E il rientro al 100% in classe nel mese di maggio? «Strano, ma bello».
È tempo di svago!
Fausto Greco, docente di italiano e latino in provincia di Caserta, la pensa così: “Gli studenti non devono recuperare la scuola perché ha sempre funzionato. Devono recuperare lo sport, lo svago e ciò che hanno perso”
di Emanuele Tirelli
Nessun compito a sorpresa per i suoi studenti. Fausto Greco insegna italiano e latino al Liceo Scientifico Nino Cortese di Maddaloni, in provincia di Caserta, e sostiene che gli allievi non debbano recuperare il tempo perso a scuola. «Semplicemente perché la scuola ha sempre continuato a funzionare, anche quando le lezioni non sono state in presenza. Devono recuperare invece lo sport, l’aggregazione, il volontariato, e tutto quello che hanno perso in questo periodo».
Com’è andata?
«Sono stati tesi perché non hanno fatto altro che studiare, senza reali possibilità di svago. E perché seguire una lezione dietro uno schermo è molto più stancante e impegnativo. In un anno come questo si è creato un bel rapporto con gli studenti, forte, perché insieme abbiamo condiviso i momenti di difficoltà, inclusi quelli della quarantena. Ci si è fatti forza per affrontare dei problemi che forse alunni e docenti non si sono mai ritrovati a vivere insieme negli ultimi decenni. Poco dopo l’inizio dell’anno scolastico è stato chiaro che ci fossero numerose incognite e, quando i contagi sono iniziati a crescere, è stato impossibile non pensare alla didattica digitale integrata. Nell’ultimo mese, invece, il calo ha iniziato a produrre effetti positivi, ma è impensabile immaginare che non ci siano state ripercussioni».
Ha cambiato modalità?
«Ho fatto tesoro dell’esperienza dell’anno scorso e di tutto quello che leggevo. Ed è stato importante agire in maniera più morbida, perché il compito fondamentale è stato quello di rassicurarli e di assicurare a tutti la continuità del processo di apprendimento, provando a mettersi nei loro panni».
Si è parlato spesso di studenti con le telecamere spente.
«E spesso l’attenzione è stata concentrata esclusivamente sull’eventualità che lo studente volesse copiare o trovare un escamotage. Consideriamo invece la loro età, di crescita, di confronto con sé stessi. Per alcuni è difficile guardarsi nel riquadro di uno schermo. E, se anche i regolamenti stabiliscono che bisogna avere le telecamere accese, è stato importante comprendere perché alcuni cercassero di evitarlo».
Ognuno di voi è entrato nelle case dell’altro.
«L’arredamento della propria stanza dice tanto di ciascuno di noi. Poi c’è chi ha dovuto condividere la stessa camera con un fratello o con un altro familiare. Ci sono stati genitori che non hanno mai assistito alle lezioni e altri che l’hanno fatto con piacere, dichiarando poi di aver trovato interessanti determinati argomenti».
Le è capitato qualcosa di divertente?
«Di familiari che passavano dietro agli studenti ce ne sono stati molti, a volte semplicemente per spostarsi da una parte all’altra della casa. Una volta, l’anno scorso, mi sono dilungato in una spiegazione due minuti oltre l’orario previsto. Ho sentito la madre di un alunno che, da un’altra stanza, chiedeva a voce alta al proprio figlio se io non pranzassi, come a dire che era il caso di finire e di andare a tavola. Ho sorriso e ho detto di rassicurarla perché anche io sono solito pranzare. Quindi ho concluso la lezione e ho dato appuntamento al giorno successivo».
CARI STUDENTI “NON SIETE SOLI”
Dopo il successo di “Lezioni Online” con oltre 1 milione di visualizzazioni, pubblicato sulla pagina Facebook di Skuola.net, il professore cantautore Alex Fusaro è tornato con un nuovo brano inedito, “Non siete soli”, una lettera-canzone dedicata ai propri studenti, «che vuol essere un messaggio di vicinanza e comprensione verso i ragazzi, specie per quelle giornate in cui ci si sente spenti, soli, incompresi e senza nessuno con cui parlare - ha dichiarato Alex Fusaro, in forza presso la scuola superiore Istituto Medici di Verona -. Ho sentito i disagi di tanti studenti legati sia al Covid, ma anche alla fase di smarrimento adolescenziale che la pandemia ha amplificato». Nel videoclip Alex Fusaro parla frontalmente ai propri studenti nella palestra di scuola, esprimendo comprensione ed empatia verso tutti loro, raccontando situazioni come la felicità fake mostrata sui social, che dura il tempo di una story, e l’incomprensione tra madre e figlio, che sfocia in un litigio familiare, oltre alla noia e la solitudine avvertita da molti. Le riprese e il montaggio del videoclip sono ad opera di James D. Dawson. La produzione audio è a cura di Alberto Rapetti. Le chitarre sono di Raffaele Barberio, ex studente di Alex Fusaro durante la sua docenza presso il Conservatorio di Trento. L’iniziativa è stata realizzata insieme a Skuola.net.
Link video: youtu.be/f-z4teDSS6c
Sabrina Colangeli: contratto Covid
Assunta per aiutare sul piano pratico e psicologico i ragazzi
di Alessandra De Tommasi
Per mesi è stato il primo sguardo che centinaia di ragazzi hanno incrociato all’ingresso della scuola secondaria di primo grado. Ogni mattina era lì a distribuire a ciascuno una mascherina nuova, ad igienizzare banco e sedia – oltre alla cattedra – e a fornire informazioni sui protocolli sanitari della pandemia. Sabrina Colangeli, 38enne romana laureata in Scienze umanistiche, fa parte dei 75mila “contratti Covid” per la scuola (tra docenti e personale ATA) durante l’anno scolastico 2020-2021. Assegnata come collaboratrice all’Istituto Comprensivo Edoardo De Filippo nel comune laziale di Guidonia Montecelio, ha avuto sotto la sua ala protettrice nove classi, che ha aiutato sul piano pratico, ma anche psicologico ad affrontare con serenità l’emergenza Coronavirus.
Quali sono state le sue mansioni?
«In via straordinaria il regolamento d’istituto ha previsto un protocollo di sanificazione quotidiana dei luoghi e regolare dei servizi, che sono diventati accessibili con una tabella di turni divisa per classi e orari. È stata istituita una saletta Covid appositamente igienizzata e arieggiata per essere usata dagli studenti con malori. In questo caso ogni genitore, prontamente contattato, è stato obbligato a riportare a casa il figlio».
Cos’è cambiato nella routine dei ragazzi?
«Si sono adeguati ad una disciplina più rigida, con ricreazione al banco e distanze di sicurezza, ma sono stati rassicurati da figure a loro disposizione capaci di garantire la sanificazione degli ambienti. Al tempo stesso sono diventati più responsabili e attenti».
Come hanno sostituito il pallone e gli abbracci?
«Con l’inventiva: una classe ha “lanciato” la moda del cubo di Rubik o dei giochi di prestigio, fatti sempre a distanza, ma insieme. Non possono passare oggetti né toccarsi e persino introdurre qualcosa che non sia un bene primario dopo il suono della campanella è proibito. Quindi se uno di loro dimentica a casa la pianola, il genitore non gliela può consegnare, questo vuol dire per loro una maggiore attenzione su tutti i fronti».
Che rapporto hanno stabilito con lei?
«Si sentono oggetto di una cura extra, come se qualcuno guardasse loro le spalle e li protegge, il che li fa sentire sereni. Sanno di dover applicare la prudenza per tutelare la propria salute e quella degli altri e hanno sviluppato una coscienza molto matura della loro età».
Ne parla con un senso di protezione quasi materna, è così?
«Si è stabilito tra noi un rapporto di grande rispetto e affetto e ora fanno a gara per regalarmi disegni da appendere sulla parete vicino alla cattedra dei collaboratori. Mi scrivono messaggi di ringraziamento alla lavagna corredati di stelline e a Natale assieme alla professoressa di tecnologia hanno realizzato a mano le decorazioni per l’albero del corridoio, come se fossi diventata il loro angelo custode».
VOTI PIÙ ALTI PER I RAGAZZI CON DSA
Disturbi specifici dell’apprendimento: una ricerca racconta come hanno vissuto la Dad i ragazzi con questa diagnosi
di Susanna Bagnoli
Stanchi, sfiduciati e delusi. Sono gli studenti che affrontano la pandemia ed hanno un disturbo legato al DSA. Una sigla che sta per disturbi specifici dell’apprendimento, la dislessia è fra questi. Un gruppo di giovani, dagli 11 ai 18 anni e che vivono in Lombardia, è stato protagonista di una ricerca della Dott.ssa Giulia Lampugnani, pedagogista esperta di DSA, che li ha ascoltati per capire come abbiano vissuto e come abbia funzionato la didattica a distanza. Loro che, spesso a scuola, se non sono supportati con piani di apprendimento personalizzati e strumenti tecnologici specifici, fanno più fatica degli altri. Partiamo dalla chiusura della scuola a fine febbraio 2020. «Subito si è andati in Dad – racconta Lampugnani – e per quanto scioccati e impauriti dal virus, i ragazzi hanno preso il lockdown come una pausa dalla scuola, la possibilità di apprendere con più tempo. E un ritorno in famiglia ‘ritrovando’ mamma e papà, pur soffrendo per l'isolamento sociale. Poi da ottobre a gennaio, con la scuola di nuovo chiusa, il ritmo di studio è diventato molto sostenuto e questo ha dato loro un senso di ‘normalità’, pur nella frustrazione di aver nuovamente perso le relazioni. Per poi tornare in classe e essere sommersi di verifiche, interrogazioni e compiti. Una situazione che ha generato malessere».
Come è cambiato l’apprendimento con la Dad?
«Hanno dovuto imparare a usare meglio gli strumenti tecnologici che già utilizzano in relazione al loro disturbo. Strumenti che in Dad tutti gli studenti hanno dovuto imparare a maneggiare, per cui i ragazzi con DSA si sono trovati avvantaggiati. Sono cresciuti in autonomia e hanno avuto voti più alti, in media. E hanno appreso nuove abilità dall'esperienza vissuta».
Come è cambiata la percezione che hanno del loro disturbo?
«Nel primo lockdown hanno pensato meno alla dislessia, poiché la scuola è stata inclusiva in modo involontario: più uso della tecnologia per tutti con un alleggerimento del carico di lavoro generalizzato. Poi tornati in classe, molti insegnanti non hanno tenuto conto delle misure necessarie a garantire loro l'apprendimento».
Cosa occorre fare?
«Va rifondato il valore dell’apprendimento. E i ragazzi vanno rimotivati. Le metodologie a supporto del DSA possono essere un’occasione per tutti gli studenti, arricchendo la scuola. Con la pandemia tutti hanno sviluppato dei bisogni educativi speciali».
Che ruolo ha avuto la famiglia?
«È un contesto educativo che ha funzionato, con capacità di protezione. Mentre gli spazi educativi e di socializzazione fuori sono venuti a mancare».
COSA È IL DSA?
Il DSA è l’insieme dei disturbi specifici dell’apprendimento, la dislessia è uno di questi. È associata a una difficoltà nella lettura, scrittura e quindi nella capacità di comprensione dei testi. Altri disturbi specifici sono la discalculia, relativa all’apprendimento della matematica, la disgrafia e la disortografia. I ragazzi con diagnosi di DSA hanno diritto a un piano scolastico personalizzato per l’apprendimento. La legge che tutela il diritto allo studio degli studenti con DSA è la n. 170 del 2010. La ricerca condotta dalla Dott.ssa Lampugnani è in collaborazione con la onlus Talenti fra le Nuvole, specializzata in servizi pedagogici e l’Università Milano Bicocca.
È ora di riprenderci la vita!
Quali conseguenze sulla psiche degli studenti?
di Emanuele Tirelli
Possiamo distinguere la pandemia in tre fasi. La prima consiste nel confinamento della primavera del 2020; la seconda nell’estate immediatamente successiva; la terza parte da settembre 2020 e arriva fino a oggi, con aperture e chiusure, cambiamenti continui e grande disorientamento. In alcuni casi questa distinzione risulta determinante e si accompagna a quella per fasce d’età, «ma la pandemia l’hanno subita tutti. Non credo ci sia una graduatoria – dice la psicoterapeuta Marina Scappaticci – perché la linea è tendenzialmente bassa. Forse gli adolescenti l’hanno sofferta di più perché sono portati a chiedere e ad avere più autonomia. Ed è davvero complicato anche per chi finisce un ciclo didattico e per chi ne inizia uno nuovo».
E i più piccoli?
«Hanno sentito la mancanza dei propri pari e della scuola in senso fisico: il suono della campanella, il rituale della merenda, l’assenza di condivisione dovuta al distanziamento. La ricaduta naturalmente c’è stata anche al di fuori della scuola, perché hanno dovuto trascorrere tutto il tempo in casa, davanti agli schermi. Sono cresciuti tanto anche gli abbonamenti ai servizi di film, cartoni e giochi online».
Gli studenti delle superiori sono invece in un’età di scoperta.
«È stato deleterio non godere della loro autonomia, uscire e fare esperienza. Sono stati a casa, obbligati a essere rinchiusi in uno spazio nell’età in cui di solito si vuole stare fuori o con un coprifuoco stringente. Adesso ci sono due scenari diversi. C’è chi uscirebbe a ogni costo per recuperare tutto il tempo di confinamento e chi non vuole uscire perché ha ancora paura. Nei primi è subentrata la stanchezza, quasi una sorta di insofferenza che può fare aumentare il rischio. I secondi si sono disabituati alla vita insieme agli altri. Sta capitando spesso che i giovani in un percorso di psicoterapia vogliano continuare con le sedute online. Altri le frequentano di persona, ma, insieme alla scuola, le considerano come le uniche occasioni per uscire di casa».
Spesso sono stati individuati come possibili untori.
«È una valutazione troppo generica che non corrisponde alla realtà e che non tiene conto di quanti sono responsabili e di quanti sono bloccati in casa dalla paura per sé e per i propri cari, soprattutto se soggetti fragili. Hanno dovuto mettere in stand-by la loro vita, non solo la scuola, ma anche nelle relazioni affettive da vivere di persona».
E adesso?
«Questa pandemia la pagheremo ancora perché il ritmo di vita è completamente cambiato. Le ansie sono aumentate, così come i disturbi del sonno e quelli alimentari. Abbiamo vissuto un clima di forte incertezza che ha contribuito a disorientarci. Di sicuro i giovani hanno mediamente un grado di autoregolazione diverso rispetto agli adulti perché sono in una fase importante della loro crescita, però c’è bisogno di riprendersi la propria vita a mano a mano che la pandemia continuerà a smorzarsi».
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