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In 100 anni sparite dalle tavole 3 varietà di frutta su 4I cambiamenti climatici e i moderni sistemi di distribuzione commerciale sono alla base della perdita della biodiversitàMar 20 Lug 2021 | di Domenico Zaccaria | Ambiente
Non più tardi di un secolo fa, nel nostro Paese si contavano 8.000 varietà di frutta. Oggi arriviamo a meno di 2.000. E come se non bastasse, 1.500 di queste sono considerate a rischio scomparsa. Colpa dei cambiamenti climatici, che vedono l’Italia particolarmente esposta a periodi di lunga siccità, intervallati da fenomeni metereologici estremi, come le alluvioni. Ma a pesare sono anche i moderni sistemi della distribuzione commerciale, che privilegiano le grandi quantità e la standardizzazione dell’offerta. Nell’ultimo anno e mezzo la pandemia ha aggravato la situazione, tagliando sbocchi di mercato per la chiusura del canale della ristorazione e per l’assenza di turisti. è un quadro a tinte fosche quello dipinto dalla Coldiretti: non solo in Italia sono scomparse tre varietà di frutta su quattro nell’ultimo secolo, ma la perdita di biodiversità riguarda ormai l’intero sistema agricolo e di allevamento. Si tratta infatti di un apparato fortemente interconnesso, per cui l’omologazione e la standardizzazione delle produzioni a livello internazionale finisce per mettere a rischio anche gli antichi semi della tradizione italiana, sapientemente custoditi per anni da generazioni di agricoltori.
IL SOSTEGNO DELLA RETE DI CAMPAGNA AMICA
Un’azione di salvaguardia importante è stata portata avanti in questi anni grazie ai nuovi sbocchi commerciali creati dai mercati degli agricoltori e dalle fattorie di Campagna Amica. Realtà che, ancor di più nei mesi difficili dell’emergenza pandemica, hanno offerto opportunità economiche agli allevatori e ai coltivatori di varietà e razze a rischio di estinzione, che altrimenti non sarebbero sopravvissute alla crisi economica contingente e alle regole delle moderne forme di commercio. Sono ben 418 i “sigilli” di Campagna Amica, la cui classifica è guidata da ortaggi, legumi e cereali (il 44% del totale), seguiti da salumi e formaggi (30%), frutta (16%), olio extravergine d’oliva e vino (7%) e miele (3%). Si va dal caciocavallo podolico al pistacchio di Bronte, dal mais corvino della Lombardia all’anice verde marchigiano; fino a prodotti meno noti come il mugnolo pugliese, una rarissima varietà di cavolo, l’uva tintilia del Molise e il testarolo toscano, un antico primo piatto originario della Lunigiana, che viene considerato il tipo di pastasciutta più antico della nostra penisola. Cibi arcaici e legati a doppio filo ai propri territori d’origine, salvati dagli agricoltori grazie a una capillare operazione di valorizzazione della biodiversità contadina.
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