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Alessandro Gassmann: Io e mio padre

Alessandro Gassmann celebra il ritorno in sala con il terzo film da regista, “Il silenzio grande”, e apre il suo cuore sulle dinamiche domestiche più delicate

Lun 27 Set 2021 | di Alessandra De Tommasi | Interviste Esclusive
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È quasi notte e solo qualche lampione flebile illumina il vicoletto sul canale. Dal giardino di una villa parte qualche nota soffusa e quasi soffocata da risate e chiacchiere. Si festeggia qui l’arrivo del film “Il silenzio grande” al cinema e il padrone di casa dell’evento per pochissimi è Alessandro Gassmann. Svetta tra la folla da lontano e accoglie tutti con il sorriso affabile che lo contraddistingue. Alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, per presentare il terzo lungometraggio da regista, Gassmann questa volta arriva con un bagaglio enorme di emozioni. Anche perché nella storia c’è anche un po’ la sua e adesso sente di avere la maturità artistica per raccontarla. Attorno ad un tavolino all’aperto ci sono alcune poltroncine per i giornalisti e sopra ciascun posto ha asciato un vinile della colonna sonora del progetto. Un gesto semplice, spontaneo, immediato come lui, ma anche un’attenzione all’altro, un momento di riconoscenza in un periodo storico in cui invece si è soliti guardare al proprio “orticello”. Lui no.

Le premesse del film si basano sul “non detto”, su quanto ciascun membro di una famiglia tenga a tenere delle cose per sé per poi creare fratture enormi. Le è successo con suo padre, ad esempio?
«Io e mio padre ci siamo capiti, ci siamo detti tutto quello che dovevamo dirci, per questo ci parlavamo poco, ma mi divertivo a prenderlo in giro e lui mi autorizzava a dirgli cose dure. Come tutte le persone intelligenti sanno fare, non se la prendeva, anzi preferiva chi aveva con lui un rapporto critico a chi lo trattava con gentilezza solo perché era Vittorio Gassmann. È lui la persona a cui voglio più bene al mondo (assieme a mamma, mia moglie e mio figlio, ovviamente)».

Essere all’altezza di un’eredità gigante come la sua l’ha spinta a migliorarsi, a studiare, ad essere sempre preparato perché non si dicesse che il suo percorso fosse merito del DNA?
«Non mi sono messo a studiare per non essere schiacciato dal mio cognome, ma perché ad un certo punto ho capito che mi piaceva. Sono stato fortunato, in questo senso». 

Quando passa dietro la macchina da presa fa attenzione a schivare critiche su potenziali favoritismi verso altri figli d’arte?
«Faccio sempre provini approfonditi perché tengo alla meritocrazia, cerco di mettere gli artisti a loro agio, se sei cattivo le persone non rendono». 

Lei su Twitter dimostra sempre un senso civico acuto: cosa pensa di come gli italiani stanno affrontando la pandemia?
«Ho ammirato gli italiani, molto più bravi di altri Paesi considerati più osservanti delle regole: quando durante il lockdown sono stato per lavoro a Napoli sembrava di stare in Svizzera. E ora vediamo miglioramenti attraverso i vaccini, che restano fondamentali e ci permettono di stare più tranquilli e conoscere il nostro nemico. Anche per questo incoraggio ad andare al cinema, un luogo meraviglioso di cui non aver paura perché assolutamente sicuro».

Qualcuno potrebbe obiettare che un film lo si può vedere a casa…
«Dopo un anno e mezzo quando mi hanno permesso di tornare in sala mi sono emozionato. Un film in sala è più bello: anche se abbiamo a casa bei televisori, è in sala che si trovano persone con la stessa passione. Questa generazione che sta saltando un turno deve essere informata a sapere cosa si perde se non vede una storia al cinema».

Lei cos’ha imparato da questo periodo d’isolamento casalingo?
«I cinque mesi di lockdown li ho passati in casa, in maniera molto tranquilla, ho riflettuto, ho avuto modo di ritrovarmi un po’ con me stesso, di passare più tempo con mia moglie e mio figlio, è stata una ripartenza. Io ho sempre fatto quello che mi divertiva fare, dalla commedia ai film drammatici, e non rinnego nulla, ma non sono abituato a stare fermo, quindi mi sono detto che con questa possibilità potevo spingermi oltre e provare qualcosa di diverso con “Il silenzio grande”. È questo che voglio fare e d’ora in poi i miei progetti saranno un po’ meno pop, perché oramai non lo sono più, quindi spero che questo film possa dimostrare che sono in grado di fare altro e mi permetterà di rischiare di più».

Cos’ha di diverso rispetto ai precedenti?
«”Razzabastarda” è stato il precursore di un certo genere di cinema, con “Il premio” mi sono addentrato in un viaggio di commedia con Gigi Proietti, ma è questo il film che mi assomiglia di più, la cinematografia che mi piace vedere da spettatore».

Di cosa parla?
«Racconta i silenzi, quelli a cui inizialmente non fai caso, ma che poi si accumulano e creano un distacco talmente grande che sembra impossibile da colmare». 

Lei non sembra uno che se ne sta zitto, però…
«In pubblico sono uno che chiacchiera, ma mia moglie che mi sopporta da quasi 30 anni sa che non parlo quasi mai. Di persone che tendono a stare più zitte di me ne ho conosciuto solo due, mio padre ed Erri De Luca, con cui siamo diventati amici, ma perché ci vediamo e non parliamo. A me questo sembra un silenzio sano, appagante. Ora tutti urlano senza essere interessati all’opinione altrui per avere ragione e non mi sta bene».

Il film non è un modo di lanciare una frecciatina a suo padre?
«Tutti i padri sono importanti, possono essere utili e deleteri a seconda della fortuna che si ha nella vita. Il film comunque non è autobiografico, volevo raccontare una famiglia e il pericolo dell’incomunicabilità».

Questo testo l’ha già adattato anche a teatro, perché?
«Amo il testo di Maurizio De Giovanni come suo lettore, mi sta simpatico, tra noi c’è condivisione di pensiero, sa tante cose, è vivace, interessante, attento ai cambiamenti della società e racconta bene la dinamica di azione e reazione. La prima lettura del testo teatrale è nata in una pausa di riprese de “I bastardi di Pizzofalcone”, mi ha commosso e spaesato, volevo riprodurre quell’emozione perché non apprezzo tantissimo le opere perfette, precise, che invece si distaccano dai sentimenti. Il cuore per me rimane la cosa più importante e qui Maurizio ci ha lasciato in eredità un piccolo classico moderno, che anche a teatro ha dimostrato di avere una grande forza».

Una curiosità: la villa dove si svolgono le vicende sembra un personaggio a se stante. Come ha trovato la cornice perfetta?
«Sono abbastanza maniacale, l’abbiamo arredata del tutto, ridipinto le pareti, inseriti mobili e libri. La villa era vuota, in soffitta vive l’ultimo proprietario, mai visto perché non ci ha mai voluto incontrare e noi, in pratica, gli abbiamo rifatto casa». 

Perché l’ambientazione negli Anni Sessanta?
«Questo film vuole essere una carezza poco prima del ‘68, dopo il boom economico, quando il nostro era un Paese in cui si stava bene anche se covavano sotto altre situazioni. All’epoca la gente si parlava, si ascoltava. Oggi i social stanno cambiando rapidamente la società, bellissimi e utili, ma i regolamenti che li governano sono migliorabili perché spesso creano confusione e paure in chi non è informato. Dalla rete esce poi la violenza nella società civile».                        
 
 


Il signore del cinema italiano

Alessandro Gassmann, classe ’65, è uno degli artisti più poliedrici del panorama italiano. Figlio d’arte (è nato dall’unione di Vittorio Gassman e dell’attrice francese Juliette Mayniel), ha a sua volta cresciuto un artista, il figlio Leo, con cui ha diviso di recente l’esperienza da doppiatore del cartone I Croods 2. Alto quasi due metri, di uno spessore culturale e morale raro nell’ambiente dello spettacolo, è sposato dal 1998 con Sabrina Knaflitz. 
Pur avendo debuttato in “Di padre in figlio”, ha la svolta con “Il bagno turco” di Ferzan Ozpetek. In TV colleziona storie di successo come “Piccolo mondo antico” e “Pinocchio”. Ex direttore artistico del Teatro stabile del Veneto Carlo Goldoni, colleziona ruoli iconici come in “Caos calmo”, alternandoli a saghe brillanti come “Non ci resta che il crimine”. Impegnato nelle battaglie sociali – è testimonial di Amnesty International - e attivissimo sui social, si divide tra teatro, regia e piccolo e grande schermo. Alla Mostra del Cinema di Venezia ha presentato “Il silenzio grande” con Massimiliano Gallo, di cui firma la regia per la terza volta. È attualmente su reti unificate: al cinema con il film e in tv su Rai Uno con la terza stagione de “I Bastardi di Pizzofalcone”. 

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